Taser dei Carabinieri, due morti in due giorni: il caso di Genova riapre il dibattito sulla sicurezza

Negli ultimi giorni l’Italia è stata scossa da due episodi ravvicinati che hanno portato nuovamente alla ribalta il dibattito sull’utilizzo del taser da parte delle forze dell’ordine. Dopo quanto accaduto a Olbia, in Sardegna, dove un uomo è deceduto a seguito di un intervento dei Carabinieri, un nuovo caso si è verificato a Genova, con un esito altrettanto drammatico. A perdere la vita è stato un uomo di 41 anni, di origini albanesi, durante un’operazione di contenimento in una lite domestica.

Il caso di Genova

Secondo le prime ricostruzioni, la tragedia si è consumata a Sant’Olcese, un comune dell’entroterra genovese. Alcuni vicini di casa, allarmati dalle grida e dall’escalation di violenza, hanno chiamato i Carabinieri per segnalare una lite familiare in corso. Quando i militari sono giunti sul posto, si sono trovati di fronte a una situazione tesa e potenzialmente pericolosa. Per immobilizzare l’uomo, che appariva agitato e aggressivo, hanno deciso di ricorrere al taser, l’arma a impulsi elettrici introdotta da qualche anno nelle dotazioni delle forze dell’ordine italiane.

L’uomo è stato raggiunto da una scarica elettrica, si è accasciato al suolo e pochi istanti dopo ha perso conoscenza. Nonostante l’intervento immediato dei sanitari, il 41enne è spirato in ambulanza durante il trasporto in ospedale, a causa di un arresto cardiaco.

L’apertura di un’inchiesta

La Procura di Genova ha disposto l’apertura di un’inchiesta per accertare le cause precise della morte. Sul corpo della vittima sarà eseguita un’autopsia, che dovrà chiarire se il decesso sia stato provocato direttamente dalla scarica elettrica del taser oppure da altre condizioni pregresse, come eventuali problemi cardiaci. Gli inquirenti stanno inoltre ascoltando testimoni, vicini e familiari per ricostruire l’esatta dinamica degli eventi.

L’obiettivo è comprendere se l’utilizzo del taser sia stato proporzionato e inevitabile in quel contesto, o se esistessero alternative meno invasive per contenere l’uomo. È un passaggio cruciale, poiché la normativa che disciplina l’uso di quest’arma prevede che venga impiegata solo in situazioni di concreto pericolo e quando altre tecniche di intervento non risultino sufficienti.

Il precedente di Olbia

Il caso di Genova si aggiunge a quello di Olbia, avvenuto appena il giorno prima. Anche lì un uomo è morto dopo essere stato colpito dal taser dei Carabinieri. Due episodi a così breve distanza temporale hanno inevitabilmente acceso i riflettori sul tema della sicurezza e sull’efficacia di questo strumento, che in teoria dovrebbe ridurre i rischi sia per gli agenti sia per le persone coinvolte.

Tuttavia, questi decessi sollevano domande fondamentali: il taser è davvero sicuro? Può essere considerato un’alternativa valida e meno letale rispetto ad altre armi, oppure nasconde rischi sottovalutati, soprattutto per soggetti fragili o con patologie?

Il dibattito sull’uso del taser

Da quando il taser è stato introdotto in Italia, il suo impiego è stato accompagnato da polemiche. I sostenitori ritengono che si tratti di uno strumento utile, capace di immobilizzare una persona senza dover ricorrere a mezzi più violenti o potenzialmente letali, come le armi da fuoco. Le scariche elettriche, in teoria, dovrebbero provocare solo una temporanea perdita di controllo muscolare, permettendo agli agenti di intervenire senza conseguenze gravi.

I critici, però, sottolineano che il taser non è privo di rischi. Diversi studi internazionali hanno dimostrato che può causare problemi cardiaci, soprattutto se usato su persone con patologie pregresse, in stato di alterazione psico-fisica o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. In alcuni Paesi, come il Regno Unito o gli Stati Uniti, il dibattito è aperto da anni, con episodi di cronaca che mostrano come l’uso improprio o eccessivo possa avere conseguenze fatali.

La necessità di chiarezza

Gli episodi di Olbia e Genova rendono evidente la necessità di stabilire regole più precise e di garantire un’adeguata formazione agli agenti che utilizzano questo strumento. Non basta dotare le forze dell’ordine di un’arma tecnologica: occorre che sappiano gestirla correttamente, riconoscendo quando usarla e quando invece optare per soluzioni differenti.

Il rischio, infatti, è che il taser diventi una scorciatoia, usata troppo facilmente in situazioni in cui il dialogo, la mediazione o altre tecniche di immobilizzazione potrebbero rivelarsi ugualmente efficaci e molto meno pericolose.

Un tema che interpella la società

Queste morti non riguardano solo i Carabinieri o le famiglie delle vittime: coinvolgono l’intera società italiana. La sicurezza è un bene fondamentale, ma deve sempre conciliarsi con il rispetto della vita umana e della dignità delle persone. Ogni volta che uno strumento pensato per garantire l’ordine pubblico diventa protagonista di tragedie, è inevitabile interrogarsi se le regole siano adeguate e se le garanzie siano sufficienti.

In attesa dei risultati delle indagini e dell’autopsia, resta il dolore per la perdita di due vite umane e la consapevolezza che il tema dell’uso del taser non può più essere rimandato. Serve un confronto serio, basato su dati scientifici e sul rispetto dei diritti, per decidere se questa arma debba continuare a far parte della dotazione delle forze dell’ordine italiane e in quali circostanze sia davvero legittimo utilizzarla.

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