Suicidio in carcere di Stefano Argentino: sette indagati per la morte del reo confesso dell’omicidio di Sara Campanella

Omicidio di Sara Campanella: nuove indagini sul suicidio in carcere di Stefano Argentino e sulle possibili responsabilità

Emergono nuovi sviluppi nelle indagini legate al drammatico suicidio in carcere di Stefano Argentino, il giovane reo confesso dell’omicidio della collega universitaria Sara Campanella, avvenuto lo scorso mercoledì mattina. La Procura di Messina ha aperto un fascicolo per accertare eventuali responsabilità nella morte di Argentino, il quale, già in precedenza, aveva manifestato più volte la volontà di togliersi la vita.

L’omicidio di Sara Campanella, che aveva sconvolto l’opinione pubblica, era avvenuto pochi mesi fa, quando i due, entrambi studenti universitari, si erano incontrati per motivi legati allo studio. Secondo quanto ricostruito, Argentino avrebbe agito in un momento di forte turbamento, confessando subito dopo il delitto. Da allora, il ragazzo era stato rinchiuso presso la casa circondariale di Gazzi, a Messina.

In seguito alla confessione e considerata la sua fragilità psicologica, era stato posto sotto una speciale sorveglianza, proprio per prevenire gesti estremi. Tuttavia, appena quindici giorni prima della sua morte, il regime di custodia era stato modificato: Argentino era stato reinserito nel circuito della detenzione ordinaria, condividendo la cella con altri detenuti. Questa decisione, oggi al centro delle polemiche, viene ritenuta da molti come una possibile concausa del tragico epilogo.

Mercoledì mattina, all’interno della sua cella, Stefano Argentino è stato trovato senza vita. Si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo. La notizia ha suscitato un’ondata di indignazione e domande, soprattutto sul perché non siano state adottate misure più stringenti di tutela, nonostante le reiterate dichiarazioni di intenti suicidari.

Attualmente, gli indagati nell’inchiesta sono sette. Si tratta della direttrice e della vicedirettrice del carcere di Gazzi, di un funzionario addetto ai servizi trattamentali dell’istituto di pena, oltre a membri dell’equipe di psichiatri e psicologi che avevano avuto in cura il detenuto. La Procura ha notificato gli avvisi di garanzia in vista dell’autopsia, considerata un atto irripetibile e fondamentale per stabilire le circostanze della morte.

L’esame autoptico è stato programmato per martedì 12 agosto. In tale occasione, il pubblico ministero conferirà l’incarico a un consulente di parte, mentre gli indagati avranno la possibilità di nominare propri esperti per assistere alle operazioni. Questo passaggio sarà cruciale per comprendere eventuali omissioni o errori di valutazione nella gestione del caso.

L’avvocato Giuseppe Cultrera, legale di Stefano Argentino, ha espresso un’opinione netta riguardo alla situazione: “Sette indagati è già presagio di plurime responsabilità, probabilmente fra loro collegate”. Il legale, pur mantenendo cautela, non esclude che possano emergere gravi mancanze: “È ancora presto per trarre conclusioni – ha precisato – ma auspico che, almeno questa volta, le indagini siano approfondite e possano portare a risultati concreti, non a verità parziali”.

Secondo la difesa, lo stato di salute mentale di Stefano Argentino non era compatibile con la detenzione in un istituto penitenziario ordinario. Per questo motivo, l’avvocato Cultrera sostiene che il giovane avrebbe dovuto essere trasferito in una Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) o, in alternativa, in una struttura a custodia attenuata, dove le condizioni di sorveglianza e supporto psicologico sarebbero state più adeguate.

Gli atti delle indagini preliminari hanno confermato che già durante le prime fasi del procedimento penale erano emersi segnali allarmanti sulle condizioni psichiche di Argentino. Nonostante ciò, il percorso detentivo ha seguito un iter tradizionale, interrotto solo temporaneamente dalla sorveglianza speciale. La successiva revoca di questa misura, a pochi giorni dalla tragedia, rappresenta ora uno dei punti centrali su cui si concentreranno le valutazioni della magistratura.

Il caso non ha solo una valenza giudiziaria, ma solleva anche questioni di carattere etico e sociale. Il suicidio di un detenuto, specialmente se già ritenuto a rischio, riporta al centro del dibattito il tema della tutela della salute mentale nelle carceri italiane, della preparazione del personale penitenziario e delle risorse dedicate al sostegno psicologico dei detenuti.

Per la comunità di Messina e per l’università frequentata sia da Stefano Argentino che da Sara Campanella, questa vicenda rappresenta una ferita difficile da rimarginare. Due giovani vite spezzate, seppur in circostanze diverse, e un contesto di dolore e domande che attende risposte chiare.

Le prossime settimane saranno decisive: gli esiti dell’autopsia, le eventuali perizie psichiatriche e le testimonianze degli operatori coinvolti potrebbero delineare un quadro più preciso delle responsabilità. Solo allora si potrà capire se la morte di Stefano Argentino poteva essere evitata e se vi siano state negligenze da parte di chi avrebbe dovuto vigilare sulla sua incolumità.

In attesa di questi risultati, rimane l’amarezza per una vicenda che intreccia tragedie personali, fragilità umane e possibili falle nel sistema penitenziario, lasciando aperto un doloroso interrogativo: si sarebbe potuto fare di più per evitare quest’epilogo?

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