L’intensificarsi del conflitto tra Israele e Hamas ha riportato all’attenzione internazionale la fragilità della situazione nella Striscia di Gaza, accendendo nuove tensioni in una delle aree più turbolente del Medio Oriente. In questo contesto drammatico, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha reso pubblica una strategia di grande impatto: l’obiettivo non è più soltanto la neutralizzazione di Hamas, ma anche l’instaurazione di una presenza israeliana permanente nella Striscia di Gaza. Si tratta di una svolta che potrebbe avere effetti duraturi, non solo sul piano regionale ma anche negli equilibri geopolitici mondiali.
La nuova strategia israeliana: occupazione totale di Gaza
Dopo oltre 660 giorni di conflitto ininterrotto, il governo israeliano si appresta ad avviare una nuova fase. Secondo quanto dichiarato dall’ufficio del primo ministro Netanyahu, la decisione di procedere con l’occupazione totale del territorio di Gaza è ormai definitiva. Secondo le fonti interne al governo, Netanyahu ritiene che Hamas non rilascerà altri ostaggi senza una resa totale da parte israeliana, un’ipotesi che, secondo il premier, lo Stato di Israele non può e non deve contemplare.
La nuova offensiva prevede che l’esercito israeliano estenda la propria presenza anche nelle zone in cui si sospetta siano detenuti gli ostaggi. Questa estensione del controllo militare punta a eliminare ogni spazio di manovra per Hamas e, allo stesso tempo, a rafforzare la sicurezza dei territori già sottoposti a sorveglianza militare. Un altro elemento chiave della strategia è stato l’annuncio della fine dello stato d’emergenza bellica, introdotto il 7 ottobre, che prevedeva l’obbligo di prolungare il servizio militare per i riservisti per ulteriori quattro mesi.
Ridimensionamento dell’esercito e segnali contrastanti
Nel quadro di questa nuova fase, l’esercito israeliano ha anche comunicato una riduzione progressiva del numero dei militari in servizio, segno che si punta a una presenza più strategica che numerosa. La notizia, riportata da Ynet, è arrivata quasi contemporaneamente alle dichiarazioni ufficiali di Netanyahu, evidenziando come il governo voglia procedere con decisione verso una nuova organizzazione militare del territorio.
Tensioni interne nel governo e resistenze delle forze armate
Nonostante la fermezza del premier, all’interno dell’esecutivo israeliano si manifestano profonde spaccature. Da un lato, la destra radicale sostiene con forza la linea dura dell’occupazione totale. Numerosi ministri, sostenuti da alcuni alti ufficiali militari, vedono in questa mossa l’unica soluzione possibile per garantire la sicurezza del Paese e ristabilire l’ordine nella regione. Dall’altro lato, ci sono figure istituzionali e politiche che spingono per una tregua, temendo una spirale di violenze che potrebbe aumentare le vittime civili e compromettere la possibilità di salvare gli ostaggi ancora in mano a Hamas.
Il Capo di Stato Maggiore delle Forze di Difesa Israeliane, Eyal Zamir, avrebbe espresso forti riserve rispetto alla decisione di occupare Gaza in modo definitivo. Secondo alcune indiscrezioni, Netanyahu gli avrebbe risposto con fermezza, arrivando addirittura a invitarlo a rassegnare le dimissioni se non in linea con la nuova strategia.
Reazioni della comunità internazionale: tra prudenza e schieramenti
La comunità internazionale osserva con crescente preoccupazione gli sviluppi in Medio Oriente. Le dichiarazioni provenienti da Tel Aviv hanno suscitato reazioni contrastanti. In una recente conversazione telefonica tra Netanyahu e Vladimir Putin, il presidente russo ha sottolineato la necessità di trovare una soluzione pacifica, ribadendo il supporto di Mosca a un percorso negoziale per la fine delle ostilità.
Parallelamente, alcune fonti diplomatiche riferiscono di un presunto via libera da parte dell’ex presidente americano Donald Trump all’operazione israeliana, interpretato da molti come un segnale di appoggio strategico alla linea dura di Netanyahu. Oltreoceano, gli Stati Uniti sembrano orientati a rafforzare il proprio sostegno a Israele, sia in termini economici che diplomatici, nel tentativo di contenere le spinte destabilizzanti provenienti da altri attori della regione.
Scenari futuri e incognite
L’eventualità di un’occupazione stabile di Gaza solleva interrogativi cruciali: quanto potrà durare questa presenza? Quale sarà il costo umano e politico di questa strategia? Mentre il conflitto prosegue, e la popolazione civile continua a vivere in uno stato di emergenza costante, il timore è che questa nuova fase possa aggravare ulteriormente una crisi già profondamente radicata.
La decisione di Netanyahu rappresenta un punto di non ritorno, che potrebbe ridefinire gli equilibri in Medio Oriente per gli anni a venire. La comunità internazionale, le organizzazioni umanitarie e gli osservatori politici attendono ora con apprensione i prossimi sviluppi.