A Montecitorio, cuore pulsante della democrazia italiana, è stato dedicato un momento di altissima intensità civile ed emotiva alla memoria di Paolo Borsellino, magistrato simbolo della lotta alla mafia. È stata infatti esposta per la prima volta la borsa che il giudice portava con sé il giorno della strage di Via D’Amelio, avvenuta il 19 luglio 1992, in cui perse la vita insieme agli agenti della sua scorta.
La cerimonia inaugurale, carica di commozione e significato, si è svolta nel Transatlantico della Camera dei Deputati. Presenti le più alte cariche dello Stato: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il Presidente della Camera Lorenzo Fontana, il Presidente del Senato Ignazio La Russa e la presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Chiara Colosimo. Accanto a loro, con occhi colmi di ricordi e dignità, i figli di Paolo Borsellino e Manuela Canale, figlia del tenente colonnello Carmelo Canale, stretto collaboratore del magistrato assassinato.
In questo contesto solenne, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha preso la parola sottolineando con forza quanto sia fondamentale, ancora oggi, tenere viva la memoria di uomini come Borsellino. Ha affermato con decisione che “il popolo italiano ha il diritto di conoscere la verità”, riferendosi agli eventi oscuri che hanno segnato gli anni delle stragi mafiose. La premier ha ribadito il suo sostegno all’azione della Commissione Antimafia, che – con coraggio e determinazione – continua a indagare per fare piena luce su quelle vicende ancora avvolte nel mistero.
Meloni ha inoltre ricordato come il sacrificio di Borsellino non solo abbia scosso profondamente la coscienza collettiva del Paese, ma abbia rappresentato per molti, lei compresa, un momento di svolta, un punto di partenza per un maggiore impegno civico e politico. Le parole della presidente hanno messo in evidenza quanto quella tragedia sia stata la scintilla che ha dato vita a un movimento popolare contrario alla mafia, alla violenza e all’omertà.
L’esposizione della borsa, racchiusa in una teca, rappresenta molto più di un semplice oggetto: è un simbolo tangibile della dedizione totale al lavoro, del sacrificio quotidiano, delle paure affrontate e del senso profondo del dovere. Come ha sottolineato la stessa premier, “quarant’anni fa in quella borsa c’erano le carte importanti, c’erano i sacrifici, c’era il lavoro che ti portavi a casa. Oggi per molti può sembrare un reperto, ma è un testimone silenzioso della nostra storia recente”.
Lucia Borsellino, figlia del magistrato, ha parlato con grande sobrietà, ma anche con intensità emotiva, descrivendo la borsa del padre come un oggetto carico di significato, custode della sua dedizione, della sua professionalità e della sua fede incrollabile nella giustizia. Secondo lei, quella borsa rappresenta la sacralità con cui il padre concepiva il proprio ruolo: non un mestiere qualunque, ma una missione da vivere fino in fondo.
L’evento ha offerto un’occasione non solo per commemorare, ma anche per riflettere sull’importanza della memoria e del coraggio istituzionale. Il ricordo di Paolo Borsellino non può e non deve restare confinato nelle celebrazioni simboliche. Deve tradursi in impegno concreto, in educazione alla legalità, in trasparenza e in una ricerca instancabile della verità.
In un Paese che spesso tende a dimenticare troppo in fretta, l’esposizione della borsa di Borsellino è un gesto che restituisce dignità alla memoria collettiva. È un invito, rivolto soprattutto alle giovani generazioni, a non abbassare mai la guardia contro ogni forma di sopruso, di corruzione e di silenzio complice.
Montecitorio, con questo tributo, ha voluto aprire simbolicamente una nuova pagina della propria storia: una pagina di consapevolezza, di impegno morale e di speranza. Perché la lotta alla mafia non è solo questione di giustizia: è una questione di coscienza nazionale. E la coscienza, come ci ha insegnato Borsellino, non muore mai.