“Piacenza, choc in ospedale: licenziato il primario Michieletti per abusi su colleghe – indagini su 32 episodi”

L’arresto di Emanuele Michieletti, ex primario del reparto di Radiologia dell’ospedale di Piacenza, ha gettato nello sconcerto l’intera comunità sanitaria locale. Le accuse che gravano su di lui — violenza sessuale aggravata e atti persecutori ai danni di medici e infermiere — hanno scoperchiato un vaso di Pandora di testimonianze, silenzi, paure e dinamiche di potere malsane all’interno dell’ambiente ospedaliero. Dopo anni di silenzio, la notizia dell’inchiesta ha finalmente incrinato quel muro di omertà che per troppo tempo aveva protetto comportamenti inaccettabili.

Il dottor Michieletti è stato licenziato per giusta causa, come confermato dalla direttrice generale dell’Ausl di Piacenza, Paola Bardasi, nel corso di una conferenza stampa. A seguito di una delibera interna, l’azienda sanitaria ha interrotto il rapporto lavorativo con l’ex primario, prendendo così le distanze in maniera netta dalle gravi condotte contestate.

Tuttavia, il caso presenta aspetti ancora poco chiari. Come riportato da Libertà, già mesi prima dell’arresto, Michieletti aveva subito un ridimensionamento del suo ruolo: fino all’autunno del 2024 era infatti anche direttore del Dipartimento di Diagnostica per Immagini. Successivamente, tra ottobre e novembre, aveva lasciato l’incarico, mantenendo soltanto la direzione del reparto di Radiologia. La guida del Dipartimento era stata assegnata al dottor Giuseppe Marchesi, che ora, dopo il licenziamento del collega, ha assunto anche la responsabilità del reparto radiologico.

Questo “passo indietro” professionale, avvenuto circa sette mesi prima dell’arresto, ha sollevato perplessità. La consigliera comunale di Fratelli d’Italia, Sara Soresi, ha chiesto chiarezza all’Ausl e la pubblicazione degli atti ufficiali. Secondo Soresi, non è ancora certo se si sia trattato di una sostituzione legata a motivi disciplinari o di una rinuncia volontaria da parte di Michieletti.

Nel frattempo, stanno emergendo racconti inquietanti da parte di ex colleghe ed ex collaboratori. Secondo il Corriere della Sera, alcuni operatori sanitari hanno dipinto un quadro cupo del clima all’interno del reparto. Michieletti sarebbe stato percepito come un “padre-padrone”, in grado di esercitare un controllo assoluto, anche grazie all’appoggio di alcune collaboratrici fidate. Secondo queste testimonianze, le molestie non erano episodi isolati ma parte di una vera e propria strategia di potere. Una dipendente ha dichiarato a Libertà: “Ho subito più volte molestie, ma mi sono ribellata. Lui si sentiva intoccabile, aveva un harem.”

Il racconto si fa ancora più preoccupante quando si entra nel dettaglio delle presunte azioni: mani sotto i vestiti, frasi allusive, sguardi insistenti, inviti non richiesti e, soprattutto, ritorsioni silenziose ma devastanti per chi osava opporsi. Le conseguenze per le vittime non erano solo psicologiche ma anche professionali: esclusione dai turni, trasferimenti punitivi o isolamento sul posto di lavoro.

Le indagini condotte dalla procura di Piacenza hanno portato alla luce almeno 32 episodi documentati di molestie o abusi nell’arco di soli 45 giorni di intercettazioni, sia audio che video. Le vittime accertate sarebbero almeno dieci, ma si sospetta che il numero reale possa essere superiore. Il primo episodio documentato risalirebbe addirittura a quindici anni fa, a dimostrazione della lunga durata e della sistematicità di un comportamento predatorio che non è mai stato fermato.

Durante l’udienza di garanzia davanti al giudice per le indagini preliminari, Michieletti ha scelto di non rispondere, avvalendosi della facoltà di rimanere in silenzio. Una scelta che, sebbene lecita, ha ulteriormente indignato l’opinione pubblica e inasprito le reazioni all’interno dell’ospedale e tra i cittadini.

Oltre agli aspetti penali, l’intera vicenda ha riaperto un dibattito fondamentale sul clima lavorativo nei contesti ospedalieri e sulle dinamiche di potere che, quando sfuggono al controllo, possono trasformarsi in un incubo per chi lavora in silenzio e sotto pressione. È in corso una riflessione profonda anche all’interno della comunità medica: come è stato possibile che simili comportamenti siano passati inosservati — o peggio, siano stati tollerati — per così tanto tempo?

Il caso Michieletti non è solo una vicenda giudiziaria, ma anche un duro colpo alla fiducia nei confronti delle istituzioni sanitarie. Un’occasione, seppur dolorosa, per ristabilire regole chiare, trasparenza, e per dare finalmente voce a chi ha subito in silenzio.

Related Posts