Omicidio e suicidio a Milano: detenuto in permesso premio accoltella collega e si toglie la vita dal Duomo

Doveva scontare una condanna a 15 anni per omicidio, ma stava beneficiando di un permesso premio per motivi di riabilitazione. Durante questo periodo, Emanuele De Maria stava lavorando come receptionist in un hotel a Milano. Tuttavia, ciò che avrebbe dovuto rappresentare un passo verso il reinserimento sociale si è trasformato in una tragedia che ha scosso profondamente l’opinione pubblica. De Maria ha accoltellato un collega all’esterno dell’albergo per poi darsi alla fuga. La situazione è rapidamente degenerata in una drammatica caccia all’uomo durata ore e conclusasi in modo tragico: un uomo si è tolto la vita lanciandosi dalla terrazza del Duomo di Milano. Gli inquirenti ritengono con forte probabilità che si tratti proprio del detenuto fuggitivo.

Secondo le prime verifiche, il corpo recuperato nei pressi della cattedrale presentava tatuaggi compatibili con quelli di De Maria. Questo elemento ha permesso agli investigatori di ipotizzare che l’uomo suicida fosse effettivamente il detenuto evaso. L’aggressione è avvenuta davanti all’albergo in cui lavorava, e la vittima – identificata come Hani Fouad Abdelghaffar Nasr – è stata immediatamente soccorsa e trasportata d’urgenza all’ospedale Niguarda, dove è stata sottoposta a un intervento chirurgico. Al momento, l’uomo si trova in terapia intensiva, in condizioni gravi ma stabili.

Il gesto di De Maria rappresenta una grave violazione delle condizioni legate al permesso premio. Ricordiamo che l’uomo stava scontando una pena per l’omicidio di una giovane donna di 23 anni avvenuto a Castel Volturno nel 2016. Dopo il delitto, De Maria era riuscito a fuggire, facendo perdere le proprie tracce per due anni. Era stato rintracciato in Germania, dopo aver vissuto un periodo nei Paesi Bassi. La sua latitanza si era conclusa con l’arresto e il successivo trasferimento nel carcere di Bollate, scelto proprio per le sue attività rieducative.

Ma il caso si complica ulteriormente: nelle stesse ore della fuga di De Maria, è stata segnalata anche la scomparsa di una collega, Chamila Wijesuriyauna, di 50 anni. Al momento, le forze dell’ordine stanno continuando le ricerche per localizzare la donna, senza però ottenere risultati concreti. La sua sparizione solleva ulteriori interrogativi sulla dinamica dell’intera vicenda.

Un dettaglio inquietante è emerso da un’intervista trasmessa sei mesi fa dal programma televisivo “Confessione Reporter”, in cui Emanuele De Maria aveva rilasciato alcune dichiarazioni che oggi risuonano in modo drammatico. “Mi sento molto accettato da tutti i miei colleghi, c’è un feeling molto positivo tra di noi”, affermava con voce apparentemente serena. In quella stessa intervista, De Maria parlava apertamente del suo passato: “Posso dire che in una lite ho ucciso una persona. Il passato non può essere cancellato. L’unica cosa che posso fare è cercare di dare un senso a quello che ho commesso, perché se non c’è progresso nell’individuo, non c’è neanche una prospettiva”.

Parole che, oggi, suonano come una tragica contraddizione rispetto alle azioni compiute. Da simbolo di un possibile riscatto personale, De Maria è divenuto protagonista di una vicenda che solleva domande spinose sul sistema carcerario e sul delicato equilibrio tra riabilitazione e sicurezza pubblica. Il permesso premio, concepito per offrire ai detenuti meritevoli l’opportunità di reinserirsi gradualmente nella società, si è in questo caso rivelato un fallimento con conseguenze devastanti.

La dinamica dei fatti è ora oggetto di indagine da parte della polizia e della procura di Milano. Gli investigatori stanno cercando di ricostruire nel dettaglio i movimenti di De Maria nelle ore precedenti all’aggressione e al suicidio, e non si esclude che nuove informazioni possano emergere anche grazie alle testimonianze dei colleghi dell’hotel o da eventuali immagini delle telecamere di sorveglianza della zona.

Intanto, la famiglia della vittima accoltellata attende notizie con ansia, mentre l’opinione pubblica si interroga su come sia stato possibile un epilogo così drammatico. Il caso De Maria potrebbe portare a una revisione delle modalità con cui vengono concessi i permessi premio ai detenuti pericolosi, sollevando una riflessione profonda su giustizia, perdono e prevenzione.

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