Piano Trump-Netanyahu: i 20 punti per la pace e la ricostruzione di Gaza

Netanyahu accetta il piano Trump: 20 punti per una tregua e la ricostruzione di Gaza

Il 29 settembre 2025 alla Casa Bianca si è tenuta una conferenza congiunta che potrebbe segnare una svolta storica nel conflitto israelo-palestinese. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu hanno presentato un piano articolato in venti punti con l’obiettivo di porre fine alle ostilità nella Striscia di Gaza e avviare un processo di stabilizzazione politica ed economica.

L’iniziativa, pubblicata integralmente dalla Casa Bianca, prevede un cessate il fuoco immediato, la liberazione degli ostaggi israeliani e un percorso di ricostruzione e governance condivisa per Gaza. Netanyahu ha espresso pieno sostegno al documento, definendolo coerente con gli obiettivi di sicurezza e difesa di Israele. Resta ora da capire se Hamas accetterà i termini del piano, poiché finora non ha rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale.

I venti punti principali del piano

Il documento elaborato dall’amministrazione americana è strutturato per garantire sicurezza, stabilità e ricostruzione. I punti chiave possono essere così riassunti:

  1. Cessate il fuoco immediato: tutte le ostilità dovranno interrompersi al momento dell’accordo.

  2. Liberazione degli ostaggi entro 72 ore da parte di Hamas.

  3. Rilascio di prigionieri palestinesi da parte di Israele, tra cui 250 ergastolani e oltre 1.700 detenuti dopo gli attacchi del 2023.

  4. Amnistia per i membri disarmati di Hamas che accetteranno la coesistenza pacifica.

  5. Esclusione politica di Hamas dalla futura governance di Gaza.

  6. Distruzione delle infrastrutture militari e dei tunnel sotterranei.

  7. Ritiro graduale delle Forze di Difesa Israeliane, secondo linee concordate.

  8. Nessuna annessione di Gaza da parte di Israele.

  9. Zona deradicalizzata priva di milizie armate.

  10. Governance provvisoria tecnica, gestita da esperti palestinesi e internazionali.

  11. Consiglio Internazionale per la Pace, presieduto da Trump e con la partecipazione di Tony Blair e rappresentanti arabi.

  12. Incentivi alla permanenza dei civili, senza espulsioni forzate.

  13. Riforma dell’Autorità Nazionale Palestinese, da attuare prima del suo ritorno a Gaza.

  14. Prospettiva di uno Stato palestinese, con un percorso graduale verso l’autodeterminazione.

  15. Programma economico “Trump” per infrastrutture, turismo e commercio.

  16. Coinvolgimento dei Paesi arabi come Qatar, Egitto e Arabia Saudita, che forniranno fondi e supporto tecnico.

  17. Forza Internazionale di Stabilizzazione (GITA) per garantire sicurezza e monitorare gli aiuti.

  18. Garanzie sugli aiuti umanitari, gestiti e controllati dalle Nazioni Unite.

  19. Demilitarizzazione totale di Gaza, con rimozione di armi e tunnel.

  20. Dialogo regionale per la pace, volto ad allargare la stabilità in Medio Oriente e rafforzare gli Accordi di Abramo.

Reazioni di Israele, Stati Uniti e comunità internazionale

Netanyahu ha accolto il piano con entusiasmo, definendolo un passo cruciale per neutralizzare Hamas e garantire la liberazione degli ostaggi. Trump, dal canto suo, ha dichiarato che in caso di rifiuto da parte di Hamas, Israele potrà contare sul pieno sostegno americano per proseguire le operazioni militari.

A livello internazionale, la proposta ha suscitato un cauto ottimismo. Il premier britannico Keir Starmer ha parlato di “iniziativa estremamente positiva”, invitando tutte le parti a lavorare insieme per un cessate il fuoco duraturo. Anche l’Unione Europea ha espresso un atteggiamento favorevole, pur sottolineando l’importanza di garantire il rispetto dei diritti umani e delle aspirazioni palestinesi.

Dal fronte arabo, Qatar ed Egitto hanno già inoltrato il documento ai negoziatori di Hamas, che dovranno valutare attentamente i venti punti. Arabia Saudita e Giordania, seppur con approccio prudente, hanno manifestato disponibilità a sostenere finanziariamente la ricostruzione di Gaza.

Le sfide della mediazione

Nonostante l’apparente equilibrio del piano, molte incognite restano aperte. In primo luogo, il ruolo futuro di Hamas: la sua esclusione politica potrebbe ostacolare l’accettazione da parte del movimento, ancora radicato nella Striscia. Inoltre, la prospettiva di uno Stato palestinese rimane vaga e subordinata a una lunga fase di transizione.

Altro nodo cruciale è il ritiro delle truppe israeliane: sebbene previsto, il processo dovrà essere attentamente monitorato da osservatori internazionali per evitare nuove tensioni. Sul piano economico, l’effettiva ricostruzione dipenderà dalla capacità di attrarre fondi e dalla gestione trasparente degli aiuti.

Infine, la tenuta politica dell’Autorità Nazionale Palestinese sarà determinante: senza un ampio consenso interno e senza riforme profonde, il ritorno dell’ANP rischia di restare solo teorico.

Un possibile punto di svolta?

Il piano Trump-Netanyahu rappresenta un tentativo ambizioso di combinare esigenze di sicurezza israeliane e aspirazioni palestinesi, offrendo un percorso multilaterale supervisionato dalla comunità internazionale. Resta da vedere se Hamas accetterà di entrare in questo processo, ponendo fine a un conflitto che da decenni segna la vita di milioni di persone.

Se il progetto avrà successo, Gaza potrebbe avviarsi verso una fase di stabilità e sviluppo senza precedenti. Se invece dovesse naufragare, il rischio è quello di un ritorno alle armi e a un ciclo infinito di violenze e ritorsioni.

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