Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha scelto una modalità insolita per comunicare il suo discorso all’Assemblea Generale dell’ONU: le sue parole sono state trasmesse tramite altoparlanti in tutta la Striscia di Gaza, un’operazione che le forze armate hanno definito come parte di una strategia di “guerra psicologica”. L’iniziativa arriva in un momento di forti tensioni tra Israele e Palestina e mentre il premier si trova ad affrontare delicate questioni diplomatiche a livello internazionale, compresi rapporti e colloqui con gli Stati Uniti e critiche rivolte a Paesi occidentali per il riconoscimento dello Stato palestinese.
L’idea di diffondere il discorso entro i confini di Gaza è stata riportata da diversi media, che hanno riferito come l’ufficio del premier avesse richiesto il coinvolgimento dell’esercito per la trasmissione tramite altoparlanti. Sebbene alcune fonti giornalistiche abbiano precisato che la decisione finale spettasse alle forze armate, l’esercito ha comunque dato corso all’operazione spiegandone le finalità legate alla pressione psicologica e alla comunicazione diretta con la popolazione e, secondo quanto dichiarato, con gli ostaggi presenti nella Striscia.
Al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, l’intervento di Netanyahu si è svolto in un’aula visibilmente scarna: numerose delegazioni hanno lasciato l’assemblea o erano assenti al momento dell’inizio del suo discorso, creando l’immagine di una platea ridotta rispetto all’ordinario. Il premier ha aperto il suo intervento richiamando l’attenzione su una mappa mostrata l’anno precedente, che – a suo avviso – dimostrerebbe il rapido sviluppo da parte dell’Iran di un programma nucleare e missilistico, una minaccia che, secondo lui, riguarda non soltanto Israele ma anche gli Stati Uniti e la stabilità regionale.
Nel corso dell’intervento, Netanyahu ha elencato i risultati che, secondo la sua versione, il Paese avrebbe ottenuto contro diversi attori considerati avversari nella regione, citando azioni mirate contro l’Iran, i gruppi Houthi nello Yemen, il regime di Assad in Siria e i vertici di Hamas nella Striscia di Gaza. Ha illustrato come, a suo dire, molte leadership ostili siano state indebolite o neutralizzate, menzionando figure specifiche e sostenendo che operazioni mirate avrebbero ridotto la capacità operativa di vari gruppi ostili.
Riguardo alla trasmissione del discorso tramite altoparlanti, Netanyahu ha affermato che l’intento era rivolto anche agli ostaggi, sostenendo che la diffusa comunicazione avrebbe potuto in qualche modo favorire la loro liberazione o inviare loro messaggi diretti. Ha inoltre ribadito l’obiettivo di completare l’operazione militare a Gaza nel più breve tempo possibile, sostenendo che gli ultimi gruppi armati di Hamas si sarebbero concentrati nella città di Gaza, dove sarebbero intenzionati a perpetrare nuove violenze e a nascondersi tra la popolazione.
Nel suo discorso ha rivolto un appello diretto ad Hamas affinché rilasci i prigionieri e deponga le armi, avvertendo che chi avesse scelto di liberare gli ostaggi avrebbe potuto salvarne la vita, mentre chi fosse rimasto ostile sarebbe stato ricercato e perseguito. Dal podio ha anche accusato altri leader mondiali di essersi tirati indietro, insinuando che in alcuni casi la comunità internazionale avrebbe favorito il male più che arginarlo, e sollecitando azioni più decise contro i gruppi che, secondo Israele, minacciano la pace regionale.
Con toni duri, Netanyahu ha proposto una domanda retorica e provocatoria: quale Stato impegnato in un genocidio «implorerebbe» i civili che sta attaccando di spostarsi per mettersi al sicuro? A suo giudizio, Israele avrebbe cercato di spingere i civili fuori dalle aree di scontro per salvaguardarne la vita, mentre Hamas, secondo la sua ricostruzione, avrebbe utilizzato le vittime civili come strumento strategico, mettendo in pericolo in modo deliberato la popolazione.
Il discorso ha suscitato reazioni contrastanti: da un lato, il governo israeliano lo ha presentato come necessario per evidenziare minacce e giustificare azioni militari mirate; dall’altro, osservatori e diplomatici hanno criticato la scelta di trasmettere il messaggio direttamente in una zona di conflitto, sottolineando i rischi sul piano umanitario e la possibilità che la tattica alimenti ulteriori tensioni. In questo quadro, rimangono aperte molte questioni sulla gestione della crisi, sulle prospettive di negoziato e sulle garanzie per i civili coinvolti.
Le implicazioni legali e morali di tali operazioni sono oggetto di dibattito: organismi internazionali e organizzazioni umanitarie chiedono verifiche indipendenti sulle modalità d’impiego della comunicazione diretta in scenari di guerra, richiamando la necessità di tutela dei civili e del rispetto del diritto internazionale. Nel frattempo, l’opinione pubblica rimane polarizzata e la diplomazia internazionale è chiamata a trovare misure che possano garantire sicurezza e rispetto dei diritti umani, per evitare ulteriori sofferenze per tutti.