“Sardegna approva la legge sul fine vita: cosa prevede e perché è un passo storico in Italia”

La Sardegna compie un passo storico nel panorama legislativo italiano, diventando la seconda regione, dopo la Toscana, ad approvare una legge specifica sul fine vita. Una decisione che, oltre a segnare un cambiamento importante sul piano politico e sanitario, riapre il dibattito nazionale su un tema delicatissimo, che tocca i diritti fondamentali della persona, la dignità del malato e la libertà di scelta nei momenti più fragili dell’esistenza.

Il Consiglio regionale sardo ha votato il testo con un risultato che mostra chiaramente la divisione tra le forze politiche: 31 voti favorevoli, 19 contrari e un’astensione. La proposta, sostenuta da un’ampia maggioranza, è stata elaborata sulla base del modello messo a punto dall’associazione Luca Coscioni, che da anni si batte per il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione terapeutica e per la piena applicazione della sentenza della Corte costituzionale del 2019.

La legge sul fine vita approvata in Sardegna non si limita a dichiarare principi astratti, ma introduce procedure concrete. L’obiettivo è regolamentare i tempi e le modalità con cui il sistema sanitario regionale deve garantire assistenza a chi richiede il suicidio medicalmente assistito. Secondo quanto previsto dal testo, potranno accedere a questa possibilità le persone affette da patologie irreversibili, caratterizzate da sofferenze insopportabili e dipendenti da trattamenti di sostegno vitale. Un passaggio che intende tutelare chi vive condizioni cliniche estreme, spesso segnate da dolore cronico e dalla perdita di ogni autonomia.

Naturalmente, la decisione finale non sarà lasciata all’arbitrio individuale. Perché la richiesta sia accolta, dovranno intervenire diversi organi di controllo. In primo luogo, una commissione multidisciplinare incaricata di verificare la sussistenza dei requisiti clinici e psicologici del paziente. A questa si aggiunge il comitato etico territorialmente competente, che avrà il compito di esprimere un parere in merito. Solo dopo questi passaggi potrà essere autorizzata la procedura, con l’assistenza gratuita garantita dal servizio sanitario regionale.

Questo aspetto è particolarmente significativo: la legge non si limita a consentire l’accesso al suicidio assistito, ma prevede che l’intero percorso sia coperto dal sistema pubblico, evitando che la possibilità rimanga privilegio per pochi. Una scelta che intende ribadire il principio di uguaglianza nell’accesso ai diritti e alla cura, indipendentemente dalle condizioni economiche del paziente e della sua famiglia.

Il dibattito in aula è stato acceso. I favorevoli hanno sottolineato il valore umano della norma, che restituisce dignità a chi si trova in condizioni di vita ormai insostenibili e prigioniere di una sofferenza senza via d’uscita. Hanno inoltre ricordato come la Consulta, con la sentenza del 2019, abbia aperto una strada che le istituzioni non possono ignorare: lo Stato non può imporre un accanimento terapeutico contro la volontà del malato. I contrari, invece, hanno espresso timori legati al rischio di una deriva culturale che potrebbe portare a banalizzare la vita o a trasformare il suicidio assistito in una scorciatoia rispetto alla cura e all’accompagnamento palliativo.

Non mancano, infatti, posizioni critiche anche nel mondo medico e religioso. Alcuni professionisti sottolineano la necessità di potenziare ulteriormente le cure palliative e il sostegno psicologico alle famiglie, affinché nessuno scelga di morire perché lasciato solo nella malattia. D’altro canto, i sostenitori della legge replicano che il riconoscimento del diritto al fine vita non esclude l’assistenza e la cura, ma amplia il ventaglio di scelte a disposizione del malato.

La Sardegna, con questa decisione, segue dunque il percorso tracciato dalla Toscana, che l’11 febbraio scorso aveva approvato la propria legge regionale con 27 voti favorevoli e 13 contrari. Due regioni che si pongono ora come laboratorio politico e giuridico per l’intero Paese, in attesa che il Parlamento nazionale affronti in maniera definitiva una materia che non può più essere rimandata.

Il tema del fine vita, infatti, non riguarda solo la sfera personale del malato e della sua famiglia, ma tocca i fondamenti stessi della convivenza civile: il rapporto tra individuo e Stato, tra libertà e tutela, tra etica e diritto. La legge sarda rappresenta quindi non solo un atto legislativo regionale, ma un tassello fondamentale di un dibattito che inevitabilmente dovrà estendersi all’intera società italiana.

La strada rimane complessa e carica di implicazioni morali, culturali e giuridiche. Tuttavia, con l’approvazione di questa legge, la Sardegna lancia un messaggio chiaro: il diritto all’autodeterminazione, anche negli ultimi istanti della vita, è una questione che non può più essere rimandata o relegata a sentenze sporadiche. È un tema che merita di essere discusso, normato e rispettato in ogni sua sfumatura.

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