“Francesca Del Vecchio, la giornalista de La Stampa espulsa dalla Global Sumud Flotilla: il racconto shock”

Francesca Del Vecchio e l’espulsione dalla Global Sumud Flotilla: il racconto di una giornalista sorpresa e amareggiata

Francesca Del Vecchio, giornalista de La Stampa, era stata invitata a partecipare alla spedizione della Global Sumud Flotilla, una missione organizzata con l’obiettivo di portare sostegno e testimonianza verso Gaza. Il suo compito era semplice e al tempo stesso fondamentale: raccontare ciò che accadeva a bordo, dare voce a un viaggio carico di simbolismo politico e umanitario. Eppure, invece di portare a termine il lavoro di cronista, Francesca si è trovata improvvisamente esclusa dalla missione.

Secondo le accuse, avrebbe diffuso “informazioni sensibili in grado di compromettere la sicurezza della spedizione”. Una motivazione che la giornalista respinge con forza, dichiarando di essersi limitata a svolgere il proprio mestiere, con la trasparenza che contraddistingue la sua professione. Sul quotidiano per cui scrive, ha pubblicato un articolo eloquente dal titolo: “Io, giornalista a bordo cacciata dalla Flotilla”. In quelle righe traspare incredulità, amarezza, ma anche la volontà di difendere il valore del giornalismo libero.

L’inizio del viaggio e le prime avvisaglie

Tutto era iniziato con l’invito di un’attivista, che l’aveva coinvolta nella missione proprio perché potesse raccontarla dall’interno. Del Vecchio aveva accettato con entusiasmo, aprendo persino una rubrica quotidiana su La Stampa per seguire passo dopo passo la spedizione.

Arrivata a Catania, luogo di partenza e di preparazione della Flotilla, la giornalista aveva preso parte al training riservato ai partecipanti. In quell’occasione, a tutti era stato chiesto di consegnare i cellulari e sottoporsi a un controllo accurato. Dopo circa un’ora e mezza di attesa, il corso era finalmente iniziato. Alla fine, Francesca aveva domandato se le fosse consentito scrivere del percorso formativo, ottenendo il permesso ma con una clausola: evitare troppi dettagli.

E così aveva fatto. Non aveva menzionato, ad esempio, episodi marginali come un partecipante sorpreso con un sacchetto di McDonald’s o la richiesta di cancellare determinati video. Aveva scelto la discrezione, rispettando la regola.

Le tensioni con il direttivo

Le frizioni sono emerse poco dopo. Francesca aveva chiesto di assistere a un turno di sorveglianza notturna, ottenendo un assenso poco convinto. Subito dopo, però, era stata rimossa dalla chat di gruppo della missione. Un gesto che l’aveva lasciata spiazzata.

Un membro del direttivo, identificato come Simone, le aveva comunicato la decisione di espellerla: secondo lui, la giornalista aveva diffuso informazioni sensibili capaci di compromettere la sicurezza della Flotilla. Una spiegazione che Del Vecchio aveva accolto con sgomento.

Determinata a chiarire, Francesca aveva parlato con Maria Elena Delia, un’altra figura di riferimento dell’organizzazione. Sembrava che la crisi fosse rientrata, almeno in apparenza. Ma la calma è durata poco.

L’episodio in mare e l’espulsione definitiva

Durante la prima esercitazione in mare, la giornalista aveva tentato di documentare ciò che accadeva. Un gesto normale per chi svolge il suo lavoro. Ma questo aveva scatenato nuove accuse: due attivisti, insieme a Simone e Giuliano, l’avevano inseguita per impedirle di registrare.

In quel momento, i toni si erano alzati bruscamente. “Non possiamo fidarci di te”, le avevano gridato. “Sei una giornalista pericolosa. Hai rivelato al mondo dove si svolge il nostro corso. Il tuo giornale ci attacca ogni giorno”. Parole dure, accompagnate da un clima di sospetto che non lasciava più spazio al dialogo.

Alla fine, le avevano restituito il passaporto e ordinato di lasciare il porto. L’avventura di Francesca Del Vecchio a bordo della Global Sumud Flotilla si è così conclusa bruscamente, con un senso di amara delusione.

Giornalismo e limiti della trasparenza

Il racconto di Del Vecchio apre una riflessione più ampia: fino a che punto un giornalista può raccontare senza mettere a rischio la riservatezza di un’operazione? E, dall’altro lato, fino a che punto un movimento che si presenta come portatore di ideali di libertà può permettersi di espellere chi esercita il diritto di cronaca?

La giornalista, nel suo articolo, ribadisce di essersi limitata a fare ciò che da sempre contraddistingue il mestiere di chi scrive: osservare, testimoniare e raccontare. Nessun intento di sabotaggio, nessuna volontà di esporre la missione a pericoli. Soltanto il desiderio di rispettare il patto di fiducia con i lettori.

Amarezza e interrogativi aperti

La vicenda lascia dietro di sé un senso di amarezza. Da un lato, l’entusiasmo di una professionista chiamata a vivere da vicino un evento di portata internazionale; dall’altro, la brusca interruzione di un’esperienza che avrebbe potuto offrire al pubblico una testimonianza preziosa.

Francesca Del Vecchio si dice incredula, colpita non solo a livello personale ma anche professionale. La sua espulsione diventa un simbolo delle difficoltà che il giornalismo incontra quando entra in contatto con movimenti che, pur animati da ideali, temono l’impatto della trasparenza.

In definitiva, ciò che rimane è un racconto che solleva domande importanti: la tutela della sicurezza può giustificare la soppressione della libertà di stampa? E che cosa succede quando una missione, nata per portare un messaggio di speranza, si trasforma in un episodio di esclusione?

Domande che meritano di restare aperte, perché toccano il cuore stesso del rapporto tra informazione, attivismo e democrazia.

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