Il carcere di Messina è stato recentemente scosso da un drammatico evento: Stefano Argentino, detenuto per l’omicidio di Sara Campanella, è stato trovato senza vita nella sua cella. Il giovane, accusato di aver brutalmente ucciso la studentessa il 31 marzo 2025, si sarebbe tolto la vita impiccandosi. La notizia ha riaperto una ferita ancora viva nella comunità messinese, già profondamente scossa dal tragico femminicidio che aveva avuto luogo solo pochi mesi prima.
Sara Campanella, 22 anni, studentessa universitaria, era stata aggredita e accoltellata per ben cinque volte da Stefano Argentino, suo compagno di corso. I due si erano conosciuti tra i banchi dell’Università di Messina, ma il rifiuto della ragazza nei confronti dell’uomo aveva innescato una spirale ossessiva durata due anni, culminata poi in una tragedia che ha lasciato sgomenti amici, familiari e colleghi.
Secondo quanto emerso dalle indagini, Sara aveva già da tempo segnalato il comportamento persecutorio di Argentino. La sera del delitto, la giovane aveva inviato un messaggio vocale a un’amica in cui esprimeva il proprio timore, affermando di essere seguita. Quelle che sarebbero poi risultate le sue ultime parole, “Lasciami in pace”, sono state registrate proprio durante l’aggressione, diventando una prova drammatica della violenza subita.
Nonostante il rapido intervento dei soccorsi, la giovane è deceduta poco dopo il suo arrivo in ospedale. Poche ore dopo il crimine, Stefano Argentino è stato arrestato e ha ammesso le proprie responsabilità durante l’interrogatorio. Il caso ha avuto una vasta eco mediatica, sollevando numerosi interrogativi sulla capacità delle istituzioni di prevenire e contrastare la violenza di genere e sul funzionamento del sistema di protezione delle vittime di stalking.
Nel pomeriggio del 6 agosto 2025, intorno alle ore 17, alcuni agenti della polizia penitenziaria hanno trovato Argentino impiccato nella sua cella, in un’area dove si trovava isolato dagli altri detenuti. I soccorsi sono stati immediati, ma per lui non c’è stato nulla da fare. Secondo fonti interne, il giovane aveva manifestato in passato segnali di fragilità psichica e istinti suicidari. In seguito all’arresto, era stato seguito da personale medico e sembrava aver superato la fase più critica.
Tuttavia, qualcosa è evidentemente crollato nuovamente nel suo equilibrio interiore. La sua morte ha suscitato non solo sgomento, ma anche nuove domande sulle misure di sorveglianza all’interno del carcere e sull’efficacia del supporto psicologico per i detenuti coinvolti in reati così gravi.
La Procura di Messina, guidata dal procuratore Antonio D’Amato, ha aperto un’indagine per fare chiarezza sulle circostanze del decesso. Si cercherà di capire se ci siano state eventuali mancanze nella vigilanza o nella gestione del detenuto, oppure se il suicidio sia stato effettivamente un gesto premeditato e solitario.
Nel frattempo, la prima udienza del processo per il femminicidio di Sara Campanella era fissata per il 10 settembre. Con la morte di Argentino, il procedimento giudiziario si chiuderà, ma il dolore e il senso di impotenza restano profondi. La famiglia della vittima, che si stava preparando ad affrontare l’iter processuale con coraggio e dignità, si trova ora a fare i conti con una fine che non restituisce giustizia né risposte concrete.
Questa vicenda, così carica di sofferenza, ha riacceso il dibattito sulla necessità di interventi più efficaci e tempestivi per contrastare il fenomeno della violenza contro le donne. La storia di Sara Campanella è diventata simbolo di una battaglia ancora aperta: quella per un cambiamento culturale che metta davvero al centro la tutela della vita e della libertà delle donne.
Il suicidio di Stefano Argentino, sebbene chiuda una parte giudiziaria della vicenda, lascia aperte molte ferite: quella di una giovane vita spezzata, quella di una famiglia distrutta, e quella di una società che continua a interrogarsi su quanto ancora ci sia da fare per prevenire simili tragedie.