Tensione altissima in Medio Oriente: Israele ha lanciato un attacco su vasta scala contro la Siria, colpendo direttamente la capitale Damasco. Secondo quanto riportato da fonti locali e confermato da alcune emittenti internazionali, tra gli obiettivi dei bombardamenti israeliani figurano edifici di estrema importanza strategica: il Ministero della Difesa siriano e il palazzo presidenziale. Le esplosioni hanno seminato il panico nella popolazione civile, già duramente provata da anni di conflitti e instabilità.
Le sirene hanno squarciato il silenzio della notte nella capitale siriana, seguite da forti esplosioni udibili in diversi quartieri della città. Secondo le prime ricostruzioni, l’attacco sarebbe ancora in corso o comunque si sarebbe protratto per diverse ore, con droni e missili israeliani che avrebbero preso di mira i centri nevralgici del potere siriano. Le immagini che circolano sui social mostrano colonne di fumo innalzarsi sopra gli edifici colpiti, mentre si moltiplicano le testimonianze di cittadini terrorizzati.
Il contesto: Sweida e la crisi dei drusi
La situazione siriana si è ulteriormente complicata negli ultimi giorni, in particolare nel sud del Paese, nella città di Sweida. Qui, il fragile cessate il fuoco tra le forze governative del presidente Bashar al-Assad e le milizie armate della comunità drusa è crollato, dando vita a nuovi scontri violenti. I drusi, minoranza religiosa presente sia in Siria sia in Israele, hanno avviato proteste e scontri per motivi legati all’autonomia e alla crescente pressione militare del regime.
Israele, da parte sua, ha più volte espresso preoccupazione per la sorte della comunità drusa in Siria, manifestando la volontà di difenderla da possibili atti di repressione da parte del regime siriano. Negli ultimi giorni, le dichiarazioni del governo israeliano si sono fatte sempre più dure, fino ad arrivare all’annuncio delle operazioni militari attualmente in corso.
Le dichiarazioni del ministro israeliano Katz
Ad alzare ulteriormente la tensione è stato il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, che in un messaggio video ha dichiarato: “I colpi più duri in Siria sono appena iniziati”. Non è la prima volta che Gallant e altri membri del governo israeliano minacciano rappresaglie pesanti contro Damasco. Già nei giorni precedenti, lo stesso ministro aveva avvertito il presidente Assad che, qualora le sue truppe non si fossero ritirate da Sweida, Israele avrebbe reagito con forza.
Anche il primo ministro Benjamin Netanyahu è intervenuto, rivolgendosi direttamente alla comunità drusa israeliana. In una dichiarazione pubblica ha chiesto ai cittadini drusi di non oltrepassare il confine con la Siria, sottolineando la gravità della situazione in atto. “La nostra priorità – ha affermato – è garantire la sicurezza di tutti i cittadini israeliani, inclusa la nostra amata comunità drusa. Ma non possiamo tollerare che la Siria continui a destabilizzare la regione.”
Escalation o messaggio politico?
Quello che sta accadendo potrebbe rappresentare un nuovo capitolo dell’interminabile conflitto che attraversa il Medio Oriente, ma anche un segnale politico forte da parte di Israele. Il bombardamento di edifici simbolici come il Ministero della Difesa e il palazzo presidenziale non è solo un atto militare, ma un chiaro avvertimento al regime di Assad.
Alcuni analisti sostengono che Israele voglia dimostrare di essere pronto a un’escalation pur di difendere i propri interessi strategici e le minoranze alleate nella regione. Altri invece interpretano il gesto come una mossa preventiva, volta a evitare un ulteriore radicamento delle forze ostili, come l’Iran e Hezbollah, all’interno del territorio siriano.
Rischio di coinvolgimento internazionale
L’attacco israeliano rischia ora di innescare una reazione a catena. La Siria, storicamente appoggiata da Russia e Iran, potrebbe ricevere supporto diretto o indiretto da questi alleati, complicando ulteriormente un quadro già delicato. La comunità internazionale, per il momento, osserva con attenzione, ma è probabile che nelle prossime ore vengano convocate riunioni straordinarie presso le Nazioni Unite o l’Unione Europea per discutere della crisi.
Nel frattempo, la popolazione civile siriana continua a pagare il prezzo più alto di una guerra che non sembra conoscere fine. I residenti di Damasco sono tornati a rifugiarsi nei sotterranei, proprio come nei giorni più bui del conflitto siriano. Le speranze di pace, se mai sono esistite, oggi sembrano lontane.