Gaza e Cisgiordania sotto attacco: 65 morti, case rase al suolo e oltre 22.000 sfollati

Una mattina che sembrava cominciare nella quiete, avvolta dal silenzio dell’alba, si è trasformata in un inferno di esplosioni e macerie. Nella Striscia di Gaza, il risveglio è stato segnato da un nuovo, devastante attacco aereo. Ancora una volta, le bombe sono cadute nel centro e nel sud del territorio palestinese, spezzando vite, sogni e speranze. Il bilancio è tragico: almeno 24 persone sono rimaste uccise, secondo quanto riferiscono diverse fonti internazionali, tra cui Al Jazeera che cita operatori sanitari locali.

Deir el-Balah, nel cuore della Striscia, è stata colpita mentre ancora dormiva. I bombardamenti hanno investito la città in piena notte, cogliendo gli abitanti completamente impreparati. Tredici delle vittime erano lì. Donne, bambini, intere famiglie sorprese nei loro letti. Le immagini che filtrano dall’area, nonostante le difficoltà di comunicazione, sono strazianti. Si vedono uomini scavare disperatamente tra le macerie a mani nude, cercando di salvare ciò che resta: un corpo, una speranza, un ricordo. Intorno, solo polvere, sangue e urla di dolore.

L’esercito israeliano ha confermato di aver intensificato le operazioni militari su tutta la Striscia. Secondo quanto riportato dall’Ansa, gli attacchi si sono moltiplicati nelle ultime ore. Mentre le diplomazie si muovono, soprattutto a Doha, dove si cerca una via per il cessate il fuoco, i fatti sul campo raccontano un’altra verità: la tregua appare sempre più lontana. Ogni negoziato sembra fragile, illusorio, quando i raid proseguono e le vittime aumentano. A Tel Aviv, intanto, risuonano nuovamente le sirene: l’Idf ha annunciato l’intercettazione di un missile proveniente dallo Yemen. È la prima volta da settimane che la capitale israeliana torna a sentirsi minacciata direttamente.

Ma la violenza non si ferma a Gaza. Anche la Cisgiordania è teatro di un’escalation militare. A Jenin, nel quartiere di Al-Hadaf, i soldati israeliani hanno compiuto un’incursione nelle prime ore del mattino. Le case sono state perquisite, alcuni edifici distrutti, numerosi civili arrestati. Le operazioni, supportate da droni, si sono svolte in un clima di tensione estrema, tra colpi d’arma da fuoco sparati in aria e grida di terrore soffocate dal rumore dei mezzi militari. A riferirlo è l’agenzia palestinese Wafa.

Poco dopo, nella vicina località di Rumana, un uomo palestinese ha attaccato un soldato israeliano con un coltello. La reazione dell’esercito è stata immediata e letale: l’aggressore è stato ucciso sul posto. Questo episodio è solo l’ultimo di una lunga serie di tensioni che si stanno accumulando in modo drammatico nei territori occupati.

Nel frattempo, continua anche la demolizione sistematica delle abitazioni nel campo profughi di Jenin. Le ruspe non si fermano. Solo ieri, altre case sono state abbattute, nell’ambito di un piano annunciato da Israele a inizio giugno, che prevede la distruzione di oltre cento abitazioni. Un’operazione che, secondo gli osservatori, ha già causato la morte di almeno 41 palestinesi in quell’area e lo sfollamento forzato di più di 22.000 persone.

È una spirale di violenza che sembra non trovare fine. Ogni giorno aggiunge nuove vittime, nuovi drammi, nuovi lutti. Eppure, la comunità internazionale fatica a reagire con forza. Le dichiarazioni ufficiali si susseguono, ma le azioni concrete mancano. I civili, come sempre, pagano il prezzo più alto. Donne che piangono i figli, bambini senza più una casa, famiglie distrutte per sempre.

In questo contesto, parlare di pace sembra quasi un’utopia. Ma è proprio quando tutto sembra perduto che bisogna continuare a sperare. Perché dietro ogni volto coperto di polvere, dietro ogni lacrima versata tra le rovine, c’è un essere umano che chiede solo di vivere. Senza paura, senza bombe, senza dover seppellire i propri cari all’alba.

Related Posts