Una settimana di pioggia battente. Poi, all’improvviso, la furia dell’acqua. E in Texas, nessun allarme aveva avvisato della catastrofe imminente. Nessuna sirena, nessun messaggio. Solo fango, urla disperate e, ora, silenzi pieni di assenze.
Tra le storie più toccanti c’è quella di Jane Ragsdale, direttrice del campo estivo Heart O’ the Hills, una vera istituzione nel cuore del Texas. Per anni, Jane era stata il volto accogliente e rassicurante di quel luogo, un punto di riferimento per centinaia di ragazze che ogni estate varcavano i cancelli del campo per vivere settimane di amicizia, natura e crescita. Ora il suo nome è tra i 59 che compongono il bilancio provvisorio delle vittime. Un elenco che fa male solo a leggerlo. Quindici sono bambini. Ventisette persone, al momento, risultano ancora disperse.
La notizia della morte di Jane è stata confermata da una nota ufficiale intrisa di commozione e dolore. “Jane era forza, potere, vita. Una guida e un’ispirazione”, si legge nel comunicato. Il fiume Guadalupe, che ha travolto l’intera area con una rapidità spaventosa, continua a scorrere portando con sé i segni della distruzione. In soli 45 minuti, il livello delle acque si è alzato di otto metri. Otto. Una crescita anomala, violenta, inarrestabile.
Il presidente Donald Trump, parlando alla stampa, ha definito quanto accaduto “una tragedia orribile”. Ma ha anche dovuto ammettere che nessun sistema di allerta era attivo nella zona. Nessun segnale ha avvisato le famiglie, i soccorritori o i responsabili dei campi estivi. Nessuno ha avuto il tempo di prepararsi. E questa è forse la ferita più profonda: una tragedia che si poteva forse evitare.
In 36 ore, le squadre di emergenza hanno salvato circa 850 persone. Un lavoro incessante, spesso reso possibile solo con l’ausilio di elicotteri, viste le condizioni del terreno. Alcuni salvataggi sono avvenuti per via terrestre, ma in molte aree l’acqua ha cancellato strade, ponti, punti di riferimento. E in mezzo a questo caos, l’unica certezza era il pericolo.
Particolarmente drammatica la situazione a Camp Mystic, un noto campo estivo cristiano per ragazze. Le tende sono ora deserte, strappate o sommerse. Il silenzio domina su un luogo che, fino a pochi giorni fa, risuonava di canti e risate. In quel momento, 750 ragazze erano ospiti del campo. Di loro, più di venti sono ancora disperse. Si teme il peggio, ma le ricerche continuano senza sosta.
Il giudice della contea di Kerr, Rob Kelly, ha ammesso con rammarico che nessuno aveva previsto un simile disastro. “Non avevamo idea che un’alluvione simile potesse colpire questa zona. Non abbiamo un sistema di allerta operativo qui”, ha dichiarato. Parole che pesano come macigni, perché mettono in luce una grave lacuna nella gestione delle emergenze in una regione che, storicamente, è soggetta a fenomeni climatici estremi.
Nel frattempo, il presidente Trump ha promesso aiuti concreti. La First Lady Melania Trump ha inviato un messaggio di vicinanza e preghiera alle famiglie colpite. Anche il presidente italiano Sergio Mattarella, con un gesto di grande sensibilità, ha espresso solidarietà: “L’Italia è vicina al popolo texano in questo momento di dolore”.
I messaggi arrivano. Le parole confortano. Ma tra i detriti e le acque fangose, i soccorritori continuano a cercare. Lo fanno con mani ferite, volti segnati dalla stanchezza, ma soprattutto con un obiettivo incrollabile: trovare i dispersi. Restituire un nome, una storia, una persona alle famiglie. Anche un solo nome in meno da piangere fa la differenza.
Il Texas, oggi, piange. Ma non si arrende. Nella devastazione, emerge la forza di una comunità che si stringe, si sostiene e combatte per ricostruire. Lo farà anche in memoria di Jane, e di tutti gli altri nomi che non sono solo numeri, ma vite interrotte troppo presto.