Gianni Alemanno denuncia dal carcere: “Rebibbia è un forno, i detenuti dimenticati dalla politica”

Nel pieno della discussione parlamentare sulla riforma della separazione delle carriere in magistratura, si è levata una voce sorprendente e inaspettata: quella di Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma ed ex ministro, oggi detenuto nel carcere di Rebibbia. La sua lettera, letta in Aula dal senatore del Partito Democratico Michele Fina, ha messo in luce una realtà troppo spesso ignorata: la condizione disumana delle carceri italiane, in particolare durante i mesi estivi, riportando al centro dell’attenzione il tema della giustizia e della dignità dei detenuti.

La vicenda giudiziaria di Alemanno

Gianni Alemanno è stato coinvolto nel celebre scandalo giudiziario “Mondo di Mezzo”, conosciuto anche come “Mafia Capitale”, che ha svelato una rete di corruzione e collusioni mafiose all’interno dell’amministrazione comunale di Roma. Secondo l’accusa, tra il 2012 e il 2014 avrebbe ricevuto oltre 220.000 euro da Salvatore Buzzi attraverso la fondazione “Nuova Italia”, in cambio di supporto politico e amministrativo. Condannato in primo grado a sei anni per corruzione e finanziamento illecito, la Corte d’Appello ha confermato la sua responsabilità. Tuttavia, la Cassazione ha successivamente annullato la condanna per corruzione, riducendo la pena a un anno e dieci mesi per il solo finanziamento illecito. Dopo un periodo ai servizi sociali, è stato nuovamente arrestato per violazioni delle misure imposte e oggi si trova a Rebibbia per scontare il residuo della pena.

La lettera dal carcere letta al Senato

Il 29 giugno 2025, giorno numero 180 della sua detenzione, Gianni Alemanno ha scritto una lunga lettera in cui racconta la sua esperienza dietro le sbarre. La missiva, definita da lui stesso un “diario di cella”, è un grido di allarme sulle condizioni inaccettabili del sistema penitenziario italiano. Descrive un’estate infernale, con celle trasformate in “camere a gas” dove la temperatura supera i 45 gradi e i ventilatori – quando presenti – sono un lusso per pochi. Le docce funzionano a intermittenza, l’acqua potabile è scarsa e l’aria è irrespirabile. Eppure, mentre i notiziari parlano delle difficoltà dei cittadini e dei turisti per il caldo, nessuno sembra occuparsi dei detenuti.

Alemanno denuncia il silenzio delle istituzioni: “Ogni estate è sempre la stessa storia: suicidi, proteste, appelli… e poi silenzio. Totale. Dimenticanza. Vergogna.” Fa notare come il gradiente termico all’interno del carcere sia drammatico: dal piano terra al secondo piano si registrano anche 10 gradi di differenza, e chi – come lui – si trova in celle esposte su più lati e al sole, vive letteralmente in un “forno”.

Denuncia al sistema giudiziario

Nella sua lettera, l’ex sindaco accusa anche i Tribunali di sorveglianza, in particolare quello di Roma, di essere sottodimensionati e mentalmente rigidi. Secondo Alemanno, nonostante molti detenuti soddisfino i requisiti di legge per accedere a misure alternative, queste vengono sistematicamente negate o concesse con ritardi ingiustificabili. Racconta, ad esempio, la storia di Mario, un detenuto ottantunenne affetto da gravi patologie, condannato per reati finanziari risalenti nel tempo, che ha ottenuto gli arresti domiciliari dopo un mese e mezzo, ma che è rimasto in carcere per altri cinque giorni, senza spiegazioni e nonostante l’evidente stato di salute precario.

Il quadro che emerge è quello di un sistema penale disorganizzato e inefficace, incapace di offrire risposte umane e tempestive, soprattutto nei confronti dei detenuti più vulnerabili. Alemanno conclude con una riflessione amara ma onesta sul ruolo della politica, accusando i governanti attuali di chiudere gli occhi e aspettare che un eventuale Commissario costruisca nuove strutture per risolvere il sovraffollamento cronico – oggi si stimano oltre 14.000 detenuti in eccesso rispetto alla capienza regolamentare.

Un’ammissione personale

Infine, Alemanno si assume le sue responsabilità del passato, ma rivendica il suo impegno politico come autentico e appassionato: “Quando ero ministro o sindaco, magari non riuscivo a risolvere tutto, ma non dormivo la notte per trovare soluzioni. Non si può fare politica voltandosi dall’altra parte. Non vedere è già di per sé una colpa. È una vergogna”.

Con questa lettera, l’ex sindaco di Roma non chiede pietà, ma giustizia e attenzione. La sua voce, da dietro le sbarre, rompe il muro dell’indifferenza e invita la politica italiana a guardare oltre le ideologie, restituendo umanità a chi, anche dietro le sbarre, continua ad essere cittadino e persona.

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