Tragedia a Lampedusa: barcone di migranti affonda nella notte, salvati in 87 ma si temono dispersi

Era notte fonda, poco prima delle 2, quando una segnalazione urgente è arrivata alla Capitaneria di porto di Lampedusa. Una barca carica di migranti stava affondando in una zona particolarmente pericolosa del Mediterraneo: l’area Sar compresa tra Tunisia e Malta. A lanciare l’allarme sono stati alcuni pescatori tunisini, ormai abituati a incrociare queste rotte della disperazione, testimoni oculari di storie segnate dalla paura, dalla speranza e, troppo spesso, dal dolore.

Il mare era scuro, agitato, ostile. Le onde alte e la corrente insidiosa rendevano ogni manovra difficile, quasi impossibile. Nonostante tutto, grazie al coraggio e all’esperienza dei pescatori, è stato possibile salvare 87 persone: uomini, donne e anche diversi bambini. Tutti erano saliti la sera precedente su un vecchio barcone metallico lungo appena 12 metri, partito da La Louza, una località costiera della Tunisia. Il costo del viaggio? Tra i mille e i duemila dinari a testa. Una somma enorme per molti di loro, investita nella speranza di una vita migliore, ma anche in una sorta di roulette russa che avrebbe potuto, come in questo caso, avere esiti tragici.

Tra i superstiti ci sono 23 donne e 10 minorenni. Sono stanchi, provati, molti di loro in stato di ipotermia. Ma sono vivi. Le lingue che si sentono parlare tra di loro raccontano l’Africa: Camerun, Costa d’Avorio, Guinea, Mali, Senegal, Sudan. I sopravvissuti sono stati trasportati all’hotspot di contrada Imbriacola, dove operatori della Croce Rossa e agenti di polizia stanno raccogliendo testimonianze, cercando di ricostruire cosa è realmente accaduto quella notte e, soprattutto, quanti ancora mancano all’appello.

Purtroppo, non tutti sono riusciti a salvarsi. Durante le operazioni di soccorso, il corpo senza vita di una giovane donna, poco più che trentenne, è stato recuperato e sbarcato al molo Favarolo di Lampedusa. La salma è stata poi trasportata alla camera mortuaria di Cala Pisana. Le sue condizioni raccontano una vicenda di dolore e disperazione. Una storia che nessuno vorrebbe mai raccontare, ma che purtroppo si ripete con una drammatica regolarità nel Mediterraneo.

Alcuni dei superstiti parlano di 5, forse 6 persone disperse in mare. Nessuna certezza, solo numeri approssimativi, ma dietro quei numeri si celano volti, sogni, madri, padri, figli. Famiglie spezzate da una scelta disperata e da una traversata che si è trasformata in tragedia. Il mare, che per molti rappresenta la speranza di un nuovo inizio, si è rivelato ancora una volta un nemico implacabile.

Le autorità italiane hanno avviato le indagini. Stanno ascoltando i racconti dei sopravvissuti, ponendo domande, confrontando le informazioni. L’obiettivo è duplice: capire cosa sia accaduto realmente e soprattutto individuare eventuali responsabili, spesso organizzazioni criminali che speculano sulla disperazione umana. Il traffico di esseri umani, infatti, continua a rappresentare una piaga devastante, alimentata da guerre, povertà, instabilità politica.

Nel frattempo, Lampedusa si ritrova ancora una volta ad accogliere chi arriva con gli occhi pieni di paura e speranza. È un’isola di confine che da anni è testimone silenziosa e solidale di queste tragedie. La comunità locale, nonostante le difficoltà, continua a offrire aiuto, supporto, dignità a chi sbarca con addosso solo vestiti bagnati e storie troppo pesanti da raccontare.

La notte tra il 30 giugno e il 1 luglio 2025 rimarrà scolpita nella memoria di chi era in mare, di chi ha soccorso, di chi ha pianto. Una notte che, come tante altre, dimostra quanto urgente sia un’azione concreta e coordinata a livello europeo e internazionale per evitare che queste rotte di morte continuino a esistere. Serve più cooperazione, più umanità, più coraggio politico. Perché ogni vita conta. E dietro ogni migrante c’è una storia che merita di essere ascoltata.

Related Posts