Ergastolo per Alessandro Impagnatiello: una sentenza che lascia il segno
Una condanna che pesa come un macigno e che segna in modo indelebile la giustizia italiana. Alessandro Impagnatiello, ex barman, accusato dell’omicidio della compagna Giulia Tramontano, incinta di sette mesi del loro figlio Thiago, è stato condannato all’ergastolo anche in secondo grado dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano. Tuttavia, nel verdetto è emersa una decisione inaspettata: l’esclusione dell’aggravante della premeditazione.
Il processo, carico di tensione e dolore, si è chiuso con un verdetto che da un lato conferma la pena massima, ma dall’altro esclude un elemento chiave dell’impianto accusatorio. Nonostante ciò, restano in piedi le aggravanti della crudeltà e della convivenza, che evidenziano l’estrema gravità del crimine.
Il delitto di Senago: una tragedia annunciata
Giulia Tramontano, 29 anni, era al settimo mese di gravidanza quando, il 27 maggio 2023, è stata brutalmente uccisa nella loro abitazione di Senago. Secondo quanto emerso dalle indagini, la giovane donna avrebbe scoperto la doppia vita del compagno, che intratteneva una relazione parallela. Di fronte all’ennesima bugia, sarebbe scoppiata una lite violenta. Impagnatiello avrebbe sferrato trentasette coltellate, in un impeto di rabbia cieca e incontrollata.
Dopo l’omicidio, l’uomo ha tentato due volte di bruciare il corpo senza riuscirci, per poi nasconderlo dietro ad alcuni box situati non lontano da casa. Nei giorni successivi ha messo in scena una farsa, fingendo di cercare Giulia, inviandole messaggi e denunciandone la scomparsa alle forze dell’ordine. Una messinscena macabra e dolorosa, che non è riuscita però a ingannare gli investigatori né i giudici.
La sentenza d’appello: ergastolo, ma senza premeditazione
Durante la lettura della sentenza, Alessandro Impagnatiello è rimasto impassibile, immobile, quasi come pietrificato. La presidente della Corte, Ivana Caputo, ha letto la decisione che conferma l’ergastolo, con isolamento diurno per tre mesi. Tuttavia, i giudici hanno ritenuto di escludere la premeditazione, ritenendo che non ci fossero prove sufficienti per dimostrare che il gesto fosse stato pianificato con anticipo.
Un colpo di scena che ha sorpreso molti, poiché l’accusa aveva puntato fortemente su questo aspetto. Nonostante ciò, la sentenza resta durissima: la crudeltà e la violenza efferata dell’atto non vengono messe in discussione.
Giustizia riparativa: una strada possibile ma controversa
Durante il processo d’appello, la difesa – rappresentata dall’avvocata Giulia Geradini – ha avanzato richiesta per l’accesso a un percorso di giustizia riparativa, previsto dalla riforma Cartabia. Questo tipo di percorso, che include programmi di riconciliazione con una “vittima surrogata”, può avvenire anche senza il consenso diretto dei familiari della vittima.
Una proposta che ha sollevato reazioni forti e contrarie da parte della pubblica accusa e della famiglia di Giulia. I genitori della giovane, presenti in aula, hanno espresso in modo silenzioso ma eloquente la loro sofferenza e il loro dissenso. Gli sguardi bassi, le lacrime trattenute, il dolore che permeava l’aula: tutto testimoniava una ferita ancora aperta, impossibile da rimarginare.
I giudici, in merito alla giustizia riparativa, si sono riservati di decidere. Una decisione che arriverà in seguito, ma che già alimenta un dibattito acceso sull’opportunità di concedere una simile possibilità in un caso così grave.
Una storia che lascia un segno profondo
La vicenda di Giulia Tramontano è entrata con forza nella coscienza collettiva. Una giovane donna, in attesa del primo figlio, uccisa da colui che avrebbe dovuto proteggerla. Una tragedia che ha scosso l’Italia, e che continua a far discutere per i suoi risvolti giuridici ed emotivi.
Impagnatiello resta oggi dietro le sbarre, con una condanna definitiva all’ergastolo che, pur senza la premeditazione, non attenua l’orrore di quanto accaduto. La ferita resta aperta, soprattutto per la famiglia di Giulia, che continua a cercare giustizia e verità.
Nel frattempo, la società si interroga su cosa significhi davvero fare giustizia, e se sia possibile parlare di perdono o redenzione in un caso tanto drammatico. Ma su una cosa non ci sono dubbi: la memoria di Giulia e del piccolo Thiago resterà viva, come monito e come richiamo alla coscienza di tutti.