Israele-Iran, tensioni alle stelle: attacco alla TV di Stato a Teheran, l’Iran promette una dura risposta
Lunedì 16 giugno si è registrata una drammatica escalation nel già teso conflitto tra Israele e Iran. Un attacco aereo ha colpito direttamente la sede dell’IRIB, l’emittente televisiva di Stato iraniana situata nel distretto 3 della capitale Teheran. Questo evento segna una nuova e inquietante fase dello scontro tra i due Paesi, portando il conflitto su un piano simbolico e mediatico di enorme portata.
L’attacco ha avuto come bersaglio preciso il cuore della comunicazione ufficiale iraniana. Secondo quanto riferito dall’emittente araba Al Arabiya, il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha dichiarato senza mezzi termini che la televisione e la radio pubblica iraniana “stanno per scomparire”. Una frase che suona come una vera e propria dichiarazione di guerra all’apparato informativo della Repubblica Islamica, considerato da Tel Aviv uno strumento di propaganda ostile.
Immediata la reazione da parte dell’Iran. Il presidente Masoud Pezeshkian ha rilasciato una dichiarazione ufficiale in cui ha ribadito che il suo Paese non ha avviato alcuna guerra, ma che risponderà con forza e determinazione a ogni attacco condotto contro il proprio territorio. “Ogni aggressione sionista – ha affermato Pezeshkian – avrà una risposta all’altezza. Non vogliamo un conflitto esteso, ma se gli Stati Uniti non interverranno per fermare il regime israeliano, la nostra reazione si intensificherà”.
Il raid israeliano ha avuto effetti devastanti. Secondo le prime ricostruzioni, lo studio principale dell’IRIB è crollato e le trasmissioni sono state interrotte bruscamente. In rete è rapidamente diventato virale un video girato all’interno dell’edificio durante l’attacco: immagini scioccanti di esplosioni, urla, fiamme e detriti. La scena ha mostrato chiaramente il panico che si è diffuso tra giornalisti e operatori, colti di sorpresa nel bel mezzo delle normali attività di trasmissione.
Uno degli episodi più emblematici è quello che ha coinvolto la giornalista Sahar Emami. Mentre era in diretta televisiva, si è sentito un forte boato e lo schermo alle sue spalle è diventato improvvisamente nero. In mezzo alle macerie e alla polvere, Emami è riuscita ad allontanarsi dal luogo senza farsi prendere dal panico. La sua compostezza è stata elogiata dai media iraniani, che l’hanno trasformata in un simbolo di resistenza e determinazione.
L’agenzia di stampa Mehr ha poi rassicurato l’opinione pubblica sulle condizioni della giornalista, dichiarando che è illesa e che è già tornata in onda poche ore dopo l’attacco. In un intervento successivo, Sahar Emami ha affermato che “la voce della verità non verrà mai spenta”, sottolineando come l’Iran, nonostante le difficoltà, non rinuncerà mai a raccontare la propria versione dei fatti.
Il gesto compiuto da Israele ha sollevato numerose critiche a livello internazionale, alimentando il timore che la guerra stia entrando in una fase più pericolosa, dove anche l’informazione diventa un obiettivo militare. Non si tratta solo di un attacco fisico, ma di un tentativo di silenziare una voce istituzionale, per quanto di parte essa possa essere considerata da Israele e dai suoi alleati. Colpire una struttura mediatica durante un conflitto rappresenta una violazione dei principi internazionali che tutelano la libertà d’informazione anche in tempo di guerra.
Molti osservatori internazionali hanno interpretato l’attacco come una provocazione deliberata, finalizzata a ottenere una risposta da parte dell’Iran che potrebbe giustificare ulteriori operazioni militari. L’azione contro l’IRIB non solo accresce il livello dello scontro, ma sposta l’attenzione globale su una dimensione psicologica e simbolica della guerra, dove l’informazione, o meglio, il controllo dell’informazione, diventa una delle armi più strategiche.
Intanto, mentre a Teheran si contano i danni e si tenta di ristabilire la trasmissione delle reti nazionali, il clima resta teso e l’ipotesi di un’escalation ulteriore è concreta. Le prossime mosse di entrambe le parti saranno determinanti per comprendere se ci sarà una possibilità di de-escalation diplomatica o se, al contrario, si andrà incontro a una spirale di ritorsioni sempre più gravi.