Una sera qualunque diventa tragedia a Tolentino, in viale Benadduci. È venerdì. Gentiana Hudhra, 45 anni, come ogni giorno, percorre il viale a piedi per recarsi al lavoro. Fa la badante. Ha appena terminato un turno e si dirige verso il secondo impiego della giornata. Ma a destinazione non arriverà mai.
In pochi minuti accade l’irreparabile. L’ex marito la raggiunge all’improvviso, impugnando un coltello. È una furia. Un’aggressione brutale, senza tregua. Prima la colpisce con diverse coltellate, poi, quando Gentiana crolla a terra, continua a infierire con calci e pugni, accecato da una violenza che lascia senza parole.
Intorno a loro, la vita scorreva normalmente. Ragazzi nei giardini, passanti, clienti dei locali vicini. Nessuno riesce a intervenire, tutti restano pietrificati, scioccati. C’è chi grida, chi chiama i soccorsi. In pochi attimi, la scena si trasforma in un incubo a cielo aperto.
L’assassino, dopo aver consumato il gesto, si siede su una panchina poco distante. Non fugge. Aspetta. Quando arrivano i carabinieri, non oppone resistenza. “Ho fatto quello che dovevo”, dichiara con freddezza. E più tardi, davanti ai magistrati, rincara: “L’ho fatto per i miei figli. Era una cosa che volevo fare.”
Parole che fanno rabbrividire. Che mostrano la lucidità agghiacciante con cui ha pianificato l’omicidio. Un delitto compiuto senza esitazioni, in pieno giorno, tra la gente, come se non ci fosse nulla di sbagliato. Ma dietro quella calma apparente si nasconde una violenza silenziosa, mai denunciata, mai emersa.
La coppia era separata dal 2021. Eppure, nulla aveva fatto presagire un epilogo così estremo. Nessuna segnalazione, nessuna denuncia, nessun intervento delle autorità. Gentiana non aveva mai parlato del suo dolore, della sua storia passata, di eventuali minacce. Le persone che la conoscevano la descrivono come una donna gentile, discreta, riservata. “Lavorava anche per noi, non ha mai detto nulla sul marito,” racconta una residente del quartiere.
Madre di due figli, uno di 20 e uno di 23 anni, Gentiana viveva una vita fatta di lavoro e silenzi. I due ragazzi ora sono stati affidati ai servizi sociali, che li accompagneranno in un percorso di supporto psicologico. Un trauma difficile da elaborare, una ferita profonda che segnerà per sempre le loro vite.
Accanto al luogo del delitto è stato ritrovato un monopattino: sarebbe stato usato dall’uomo per raggiungere Tolentino partendo da Perugia. Anche questo elemento contribuisce a delineare la premeditazione dell’omicidio. Nulla lasciato al caso. Nessuna fuga. Solo un’apparente calma e una tragica determinazione.
Secondo i dati riportati dal Corriere della Sera, quello di Gentiana rappresenta il 33esimo femminicidio registrato in Italia nel 2025. Un numero che fa male. Che scuote. Che obbliga a riflettere.
Perché, al di là dei numeri, dietro ogni caso c’è una donna. Una vita spezzata. Una famiglia distrutta. Una comunità segnata. Non possiamo più rimanere spettatori inerti davanti a tutto questo.
Serve un cambiamento profondo, radicale. Una trasformazione culturale che parta dal rispetto reciproco, dall’ascolto, dalla prevenzione. Non si può più attendere. Le istituzioni hanno un dovere, ma anche noi, come cittadini, abbiamo una responsabilità. È nelle famiglie, nelle scuole, nelle relazioni quotidiane che si devono costruire le basi per una società libera dalla violenza di genere.
Il femminicidio non è mai un raptus. È l’ultimo atto di una catena di dominio, controllo, umiliazioni e silenzi. Ed è proprio contro questo silenzio che dobbiamo iniziare a combattere. Dare voce alle vittime, creare reti di sostegno, educare alla parità e al rispetto fin dall’infanzia.
Gentiana, come troppe altre donne, non ha trovato il coraggio – o forse la possibilità – di denunciare. Ma la sua storia non deve essere dimenticata. Deve diventare un simbolo, un richiamo, un’urgenza.
Perché nessuna donna dovrebbe mai più morire per mano di chi diceva di amarla.