La guerra in Ucraina continua a delinearsi come un conflitto estenuante, segnato da una strategia militare russa che, pur massiccia e aggressiva, si sta rivelando sempre più inefficace. L’approccio adottato da Vladimir Putin, descritto da molti analisti come la “strategia del tritacarne”, ha comportato un costo umano e materiale altissimo, senza garantire progressi significativi sul campo. Dietro questa scelta si cela un disegno politico-ideologico profondo, che ambisce a ridefinire gli equilibri geopolitici dell’Europa orientale, ma che rischia di diventare un boomerang per lo stesso Cremlino.
La tattica del “tritacarne” consiste in un logoramento sistematico delle forze ucraine, ottenuto attraverso un impiego massiccio di uomini, carri armati, artiglieria e droni, con scarsa considerazione per le perdite. Il fine non è solo quello di conquistare territori, ma soprattutto quello di fiaccare la capacità difensiva dell’Ucraina, nella speranza di ridurre progressivamente la resistenza, la volontà e le risorse militari del nemico. In sostanza, una guerra d’attrito che rievoca le logiche dei grandi conflitti novecenteschi, dove la superiorità numerica veniva usata come leva strategica principale.
Secondo quanto riportato dall’agenzia ucraina ArmyInform, che cita fonti della NATO, la Russia avrebbe perso nei primi mesi del 2025 circa 975 soldati al giorno, cifra che si riferisce solo ai morti, senza considerare feriti e dispersi. Sommando tutte le perdite, si arriva a oltre 1.140 uomini al giorno, con una percentuale drammatica di feriti gravi destinati a non sopravvivere. Rispetto agli standard militari comuni — dove si registra normalmente un morto ogni tre feriti — la proporzione attuale è ben più elevata, segno che i soldati russi vengono spesso mandati allo sbaraglio, senza adeguata protezione né supporto tattico.
Le stime dello Stato Maggiore ucraino parlano di circa 160.000 uomini sacrificati tra gennaio e aprile 2025 per ottenere appena 1.627 chilometri quadrati di territorio, ovvero 99 morti per ogni chilometro quadrato conquistato. Anche l’Institute for the Study of War conferma la gravità della situazione, indicando che a fine 2024 si parlava già di 1.600 morti al giorno e 175.000 perdite complessive per 3.000 chilometri quadrati guadagnati.
Eppure, nonostante tutto, i risultati sono minimi. Nel 2025, l’esercito russo è riuscito ad occupare solo lo 0,2% del territorio ucraino, esattamente la metà dello 0,4% guadagnato nel 2024. Un indicatore evidente del fatto che la strategia adottata non è sostenibile a lungo termine, sia dal punto di vista operativo che umano.
Un altro dato allarmante è rappresentato dalla qualità delle truppe schierate da Mosca. Sempre più spesso, i soldati russi inviati al fronte sono giovani reclute, con appena quattro settimane di addestramento alle spalle. Questi uomini vengono utilizzati in operazioni d’assalto di massa, spesso senza adeguata copertura, e diventano facile bersaglio per le ben più preparate truppe ucraine. Questo squilibrio aumenta il numero delle vittime e contribuisce ad alimentare la disorganizzazione interna delle linee russe.
Il Cremlino sembra ancora fare affidamento sul vantaggio demografico: 140 milioni di russi contro circa 35 milioni di ucraini. Tuttavia, questo vantaggio numerico è bilanciato dalla resilienza ucraina, che beneficia non solo di un forte spirito patriottico, ma anche di tecnologie avanzate, una rete di intelligence molto efficace e il sostegno della comunità internazionale. Un esempio recente è l’attacco mirato a basi aeree russe lontane dal fronte, in cui l’Ucraina è riuscita a distruggere 41 velivoli russi, riducendo significativamente la capacità operativa del nemico.
Sul piano politico, l’obiettivo di Putin sembra essere l’annessione di ampie porzioni dell’Ucraina orientale e meridionale, zone ritenute fondamentali per la sicurezza e l’economia russe. Ma questo progetto sta mostrando i suoi limiti: la popolazione civile è stremata, le risorse militari si assottigliano e le pressioni internazionali aumentano. Inoltre, la brutalità della strategia russa sta galvanizzando la resistenza ucraina, rendendo ogni metro guadagnato sul campo una vittoria amara e insostenibile.
In sintesi, la “strategia del tritacarne” adottata da Putin si sta rivelando una scelta miope e controproducente. L’altissimo costo umano, la lentezza dei progressi e l’intensificarsi della resistenza ucraina stanno minando le fondamenta di una campagna militare che, a dispetto della propaganda, appare sempre più fallimentare.