Referendum 8-9 giugno: quorum a rischio, italiani divisi tra partecipazione e astensione

Non è solo una questione di contenuti, né una semplice espressione di preferenze politiche o appartenenza civica. Il referendum dell’8 e 9 giugno si avvicina rapidamente, ma ciò che sta davvero alimentando il dibattito non è tanto il merito dei quesiti proposti, bensì la reale partecipazione degli italiani. Il cuore del problema, infatti, è uno solo: il quorum.

Secondo la normativa vigente, per rendere valido l’esito di un referendum abrogativo, è necessario che alle urne si rechi almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto. Se questa soglia non viene raggiunta, il risultato, qualunque esso sia, resta privo di efficacia giuridica. In pratica, anche se vincesse il Sì o il No in modo netto, tutto si azzererebbe senza una partecipazione sufficiente.

Proprio per questo, la vera battaglia non è soltanto tra chi sostiene i quesiti e chi li osteggia, ma anche – e forse soprattutto – tra chi cerca di mobilitare l’elettorato e chi, invece, invita all’astensione. Una strategia che affonda le radici nel passato, ma che continua a rivelarsi sorprendentemente efficace, specialmente in un’Italia sempre più disinteressata alla politica e sempre meno coinvolta nella vita democratica.

Oggi, in molte famiglie italiane, la politica non è più argomento di discussione quotidiana. La fiducia nei confronti delle istituzioni è scesa a livelli minimi e la partecipazione civica appare sempre più debole. Questo clima di disimpegno non si limita al momento elettorale, ma si riflette in una generale apatia nei confronti della vita pubblica. In questo contesto, il rischio che il referendum dell’8 e 9 giugno fallisca nel raggiungimento del quorum è tutt’altro che trascurabile.

La storia recente parla chiaro. Negli ultimi decenni, e in particolare dagli anni Novanta in poi, l’affluenza ai referendum è diminuita drasticamente. Basti pensare al caso del 2022, quando i cinque quesiti sulla giustizia hanno visto un’affluenza appena del 21%, ovvero poco più di un elettore su cinque.

Anche per il prossimo referendum i segnali non sono particolarmente incoraggianti. Secondo un’indagine condotta da Izi, si ipotizza che l’affluenza possa attestarsi attorno al 40%. Un dato ancora lontano dal traguardo del 50% più uno, ma che comunque rappresenta un segnale di un certo risveglio dell’interesse popolare, seppur fragile e incerto.

Un altro elemento da non trascurare è il voto degli italiani residenti all’estero. Da quasi vent’anni votano per corrispondenza, ma la loro partecipazione si mantiene su livelli bassi, intorno al 23%. Considerando che rappresentano circa il 9% del corpo elettorale, la loro scarsa partecipazione ha un impatto rilevante nel calcolo della media nazionale, rendendo ancor più difficile raggiungere il quorum necessario.

Il sondaggio, inoltre, evidenzia una forte polarizzazione dell’elettorato. La maggior parte dei votanti delle forze di opposizione si dichiara favorevole al Sì, mentre tra i sostenitori della coalizione di governo prevale il No, in linea con le indicazioni ufficiali dei partiti. Solo una minoranza tra coloro che si sono astenuti alle elezioni politiche del 2022 sembra intenzionata a recarsi alle urne in questa occasione. La maggior parte resta incerta o chiaramente propensa a non votare.

Tutto questo conferisce al referendum dell’8 e 9 giugno un significato che va ben oltre i singoli quesiti. Si tratta, in definitiva, di un vero e proprio test sulla vitalità della democrazia italiana. Non è più solo una questione di opinione sui temi trattati, ma una riflessione più profonda sul rapporto tra cittadini e istituzioni, sulla voglia di partecipare, sull’impegno collettivo.

La domanda che si pone oggi non è più semplicemente “cosa voterai?”, bensì “voterai davvero?”. E per molti, purtroppo, la risposta sembra essere un silenzioso ma eloquente “no”. Un no che pesa più di qualsiasi voto espresso, perché segna la distanza sempre più ampia tra cittadini e processo democratico.

La sfida vera, allora, è riaccendere quel senso di responsabilità civile che negli anni sembra essersi affievolito. Perché votare non è solo un diritto: è un dovere verso la collettività, un gesto che dà senso alla democrazia e valore alle nostre scelte.

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