Garlasco: l’impronta scomparsa riapre il mistero sulla morte di Chiara Poggi

Garlasco, il mistero dell’impronta scomparsa: si riapre il caso Chiara Poggi?

C’è una scala, una taverna e il corpo senza vita di una giovane donna. È il corpo di Chiara Poggi, uccisa nella sua casa di Garlasco in una calda mattina d’agosto del 2007. Una scena che l’Italia non ha mai dimenticato. Sul terzo gradino della scala che conduce alla taverna, gli investigatori avevano trovato quella che sembrava essere una prova chiave: un’impronta. L’impronta numero 33.

Quella traccia, all’epoca, fu analizzata con attenzione. I consulenti della Procura di Pavia rilevarono ben 15 punti di compatibilità con il palmo della mano di Andrea Sempio, un amico di Chiara. Secondo quegli esperti, non c’erano dubbi: quell’impronta era sua.

Eppure, oggi, quella stessa impronta è sparita. Trattata inizialmente con la ninidrina – una sostanza utilizzata per far emergere tracce di sudore o sangue – l’impronta era stata prelevata grattando un pezzo d’intonaco con un bisturi sterile. Doveva essere catalogata, conservata, custodita. Ma nei registri della Procura non ce n’è traccia. Nemmeno negli archivi dei Ris di Parma. È scomparsa nel nulla, dissolta insieme alla speranza di riaprire in modo concreto una delle vicende giudiziarie più discusse e tormentate degli ultimi vent’anni.

Gli avvocati di Alberto Stasi, già condannato in via definitiva per l’omicidio di Chiara, si stavano preparando a chiedere nuovi accertamenti. Analisi biologiche, confronti, verifiche tecniche. Avrebbero voluto portare quella traccia davanti a un giudice, per cercare forse una diversa verità. Ma adesso non c’è più nulla da confrontare. Quella che sembrava una prova solida è diventata un fantasma. Un dettaglio che non può più parlare, che non potrà più essere utilizzato per cercare giustizia o verità.

Nel frattempo, però, qualcosa si muove ancora. Il caso Garlasco non è finito. Nonostante i silenzi, nonostante le condanne già pronunciate, nuove ombre si allungano sull’inchiesta. Il 17 giugno i giudici torneranno a esaminare reperti rimasti finora inesplorati o trascurati. Saranno utilizzati strumenti di analisi moderni, più precisi, per cercare risposte che in passato sono sfuggite.

Tra i materiali che saranno analizzati figura anche un’altra impronta: il cosiddetto contatto papillare numero 10. Una traccia rinvenuta all’interno della porta d’ingresso della villetta di Chiara. Potrebbe trattarsi di sangue, ma non è mai stato chiarito. All’epoca non vennero svolte analisi biologiche. I punti utili per la comparazione erano solo otto – troppo pochi, visto che la soglia minima per una comparazione attendibile è sedici. Così quella traccia fu accantonata, senza mai essere collegata in modo certo a qualcuno.

Ora, però, con le nuove tecnologie, si spera di riuscire a ottenere informazioni più chiare. Le speranze sono affidate alla scienza, ai metodi investigativi che oggi permettono di analizzare ciò che in passato sembrava illeggibile o insignificante.

L’ex procuratore Mario Venditti, che all’epoca seguì l’inchiesta, continua a difendere le sue scelte. “Mancavano prove solide”, ha dichiarato. Secondo lui, quell’impronta non era utile. E il DNA rilevato era talmente deteriorato da risultare inutilizzabile. Ma oggi le circostanze sono diverse. Esiste un DNA che porta a Sempio. C’è una pista alternativa. E c’è, soprattutto, quella sensazione che qualcosa di importante sia stato perso per sempre. O peggio, che sia stato trascurato volontariamente.

Nel silenzio di questi anni, resta una domanda che non smette di pesare: cosa sarebbe successo se quell’intonaco fosse ancora lì? Se l’impronta 33 non fosse scomparsa? Se si fosse potuto confrontare quel palmo con gli strumenti attuali?

Il caso Chiara Poggi è stato chiuso, almeno formalmente, con una condanna definitiva. Ma l’Italia non ha mai smesso di interrogarsi. E oggi, con la scomparsa di una prova tanto importante, la sensazione di un’occasione mancata si fa ancora più forte. Non è solo un dettaglio investigativo: è il simbolo di una giustizia che, forse, non ha detto tutto quello che doveva dire.

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