Piacenza, choc all’ospedale: primario arrestato per 32 episodi di abusi su colleghe

Un nuovo scandalo colpisce duramente l’Ospedale Civile di Piacenza, travolto da un caso che ha dell’incredibile per gravità e ripercussioni etiche. Un noto primario, Emanuele Michieletti, 60 anni, responsabile del reparto di Radiologia, è stato arrestato con l’accusa di violenza sessuale aggravata e atti persecutori ai danni di diverse colleghe. I fatti emersi delineano una realtà inquietante, fatta di abusi sistematici, omertà e paura, all’interno di un contesto che avrebbe dovuto garantire sicurezza, professionalità e rispetto reciproco.

Le indagini, coordinate dalla Procura di Piacenza e portate avanti dalla Squadra Mobile, sono partite a seguito della coraggiosa denuncia di una dottoressa che ha deciso di rompere il silenzio. La donna, dopo aver subito un primo episodio di aggressione sessuale, ha informato la Direzione Sanitaria dell’Ausl e successivamente la Questura, dando il via a un’attività investigativa intensa e meticolosa. Grazie alle intercettazioni ambientali e a un attento monitoraggio durato appena 45 giorni, sono stati documentati ben 32 episodi di abuso, tra cui rapporti sessuali completi e atti orali forzati, ai danni di dottoresse e infermiere del reparto.

Secondo quanto riportato dagli inquirenti, le vittime si trovavano in una situazione di totale soggezione psicologica. Il primario, approfittando della sua posizione di potere e del clima gerarchico ospedaliero, avrebbe esercitato una forma di controllo che rendeva difficile, se non impossibile, opporsi. In molti casi, le donne avrebbero subito in silenzio per paura di ritorsioni professionali o per il timore di essere screditate. Il contesto, descritto come un ambiente opprimente e dominato dalla paura, avrebbe scoraggiato qualsiasi tentativo di denuncia tempestiva.

Le conversazioni intercettate hanno rivelato un quadro ancora più allarmante: il dottor Michieletti era considerato una figura influente, rispettata e temuta non solo per il suo ruolo apicale, ma anche per le presunte “protezioni” di cui godeva. Diversi membri del personale sarebbero stati a conoscenza di comportamenti inappropriati e abusi, ma avrebbero preferito tacere, alimentando così un clima di complicità e impunità. La Procura sottolinea che tale silenzio collettivo ha favorito la reiterazione dei comportamenti delittuosi, trasformando il reparto in un luogo di terrore per molte lavoratrici.

Uno degli aspetti più sconvolgenti della vicenda riguarda proprio la quotidianità degli abusi: non si trattava di episodi isolati o circostanziali, ma di una condotta sistematica, protrattasi nel tempo. Ogni giorno, secondo gli inquirenti, poteva rappresentare per le vittime una nuova occasione di violenza, vissuta nell’indifferenza o nel timore generalizzato. Le testimonianze raccolte descrivono una realtà dove la dignità professionale delle donne veniva calpestata, annullata da un meccanismo di potere malato e privo di controllo.

L’arresto del primario Michieletti è stato disposto con la misura degli arresti domiciliari, mentre l’inchiesta prosegue per accertare eventuali complicità o omissioni da parte di altri soggetti interni alla struttura sanitaria. Il caso ha suscitato profondo sconcerto nell’opinione pubblica e ha riaperto il dibattito sulla necessità di garantire ambienti di lavoro sicuri, soprattutto in contesti delicati come quello sanitario.

Il direttore generale dell’Ausl di Piacenza ha espresso “ferma condanna” per quanto accaduto e ha assicurato la massima collaborazione con la magistratura per fare piena luce sull’accaduto. Nel frattempo, è stato avviato un supporto psicologico alle vittime e al personale coinvolto, nel tentativo di ricostruire un clima di fiducia e rispetto all’interno dell’ospedale.

Questo drammatico episodio non è soltanto un caso giudiziario, ma rappresenta un campanello d’allarme per tutto il sistema sanitario nazionale. Occorre rafforzare i meccanismi di segnalazione, tutelare maggiormente le vittime e promuovere una cultura del rispetto e della legalità all’interno delle strutture pubbliche.

Il coraggio dimostrato dalla prima dottoressa che ha denunciato gli abusi merita di essere riconosciuto e sostenuto, perché solo rompendo il silenzio si possono scardinare dinamiche di potere perverse. Il suo gesto ha dato voce a tante donne che per troppo tempo hanno dovuto subire in silenzio. Ora, l’auspicio è che giustizia venga fatta e che simili episodi non abbiano più modo di ripetersi in alcun contesto lavorativo.

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