L’8 maggio 2025, una mattina apparentemente come tante, si è trasformata in un momento cruciale nel caso della tragica morte di Saman Abbas. I carabinieri del Nucleo Investigativo di Reggio Emilia hanno eseguito due arresti su mandato della Corte d’Appello di Bologna: si tratta di Nomanulhaq Nomanulhaq e Ikram Ijaz, cugini della giovane pakistana. Entrambi erano già stati condannati all’ergastolo per l’omicidio di Saman, avvenuto a Novellara nel maggio 2021. Tuttavia, in primo grado erano stati assolti, decisione che ora è stata ribaltata dalla sentenza d’appello, che ha nuovamente posto i riflettori su una vicenda che continua a scuotere le coscienze.
Il delitto di Saman Abbas rappresenta uno dei casi più sconvolgenti degli ultimi anni, perché unisce temi di attualità scottante come i matrimoni forzati, il controllo familiare e l’onore a ogni costo. La giovane aveva soltanto 18 anni quando è scomparsa. La sua colpa, agli occhi della famiglia, era quella di voler vivere libera, di rifiutare un matrimonio combinato e seguire il proprio percorso, in linea con i suoi desideri e la cultura del Paese in cui era cresciuta.
Ma a cambiare le sorti del processo è stata una testimonianza fondamentale: quella del fratello minore di Saman. Un racconto che, seppur doloroso, ha permesso alla giustizia di fare un passo decisivo. Il giovane, visibilmente intimorito ma determinato, ha riferito di aver assistito all’omicidio della sorella, strangolata dallo zio Danish Hasnain, e al coinvolgimento diretto dei cugini nell’occultamento del corpo. Le sue parole, precise e dettagliate, hanno fatto breccia nella corte, che ha potuto ricostruire l’intera dinamica dell’assassinio.
Il racconto del fratello non è stato solo un atto di coraggio, ma anche un grido di aiuto, una denuncia contro un sistema familiare opprimente. Ed è anche grazie a lui che è stato possibile proseguire con le indagini, portando a nuove prove, nuove testimonianze e infine alla condanna in Appello. Il caso di Saman non è solo una cronaca nera, ma un simbolo doloroso della difficoltà di molte giovani donne straniere a integrarsi tra due culture, spesso in contrasto tra loro.
Uno degli elementi più drammatici della vicenda è il ritrovamento del corpo della ragazza, avvenuto nel novembre 2022. Dopo lunghe ricerche, è stato lo stesso Danish Hasnain a fornire le indicazioni che hanno portato alla macabra scoperta. Una fossa scavata in una serra abbandonata nella campagna di Novellara ha restituito i resti della giovane, confermando in modo inequivocabile ciò che si sospettava da tempo. Un atto che, forse, non è stato dettato dal pentimento ma dalla pressione investigativa che cresceva giorno dopo giorno.
L’esito del processo d’appello ha visto un deciso inasprimento delle pene: la condanna di Danish Hasnain è passata da 14 a 22 anni, mentre i cugini, inizialmente assolti, sono stati condannati all’ergastolo. Anche i genitori di Saman, tuttora latitanti in Pakistan, sono stati condannati in contumacia per aver avuto un ruolo decisivo nell’organizzare e approvare l’omicidio.
Questo caso ha avuto un forte impatto sull’opinione pubblica italiana, sollevando numerose discussioni sul controllo familiare nelle comunità straniere, sull’integrazione e sulla tutela dei diritti delle giovani donne. Saman è diventata simbolo di una battaglia che va ben oltre il singolo delitto: è l’emblema della necessità di garantire protezione a chi decide di ribellarsi a imposizioni che violano la libertà personale.
La domanda che molti si pongono è: si poteva evitare tutto questo? Forse sì, se le istituzioni avessero avuto strumenti più incisivi per intervenire prima, se il grido silenzioso di Saman fosse stato ascoltato in tempo. Oggi, a distanza di anni, si cerca di fare giustizia, ma resta l’amarezza di una vita spezzata troppo presto. Tuttavia, la sua storia ha smosso le coscienze e, si spera, potrà salvare altre vite in futuro.
Il dolore per la perdita di Saman non si cancella, ma la verità – quella sì – può dare un senso a tutto questo. E proprio quella verità, emersa con fatica grazie al coraggio di un fratello, ha permesso di inchiodare i colpevoli alle loro responsabilità.