È morto Graziano Mesina, il leggendario bandito sardo: una vita tra fughe, carcere e malattia

Addio a Graziano Mesina: si chiude il capitolo di un’epoca tra mito e crimine in Sardegna

Graziano Mesina, uno dei nomi più iconici e controversi del banditismo sardo, si è spento all’età di 83 anni, chiudendo un capitolo oscuro e affascinante della storia della criminalità italiana. La sua morte, avvenuta in ospedale dopo la concessione degli arresti domiciliari per gravi motivi di salute, segna la fine di un’esistenza vissuta sul filo tra leggenda e illegalità.

Mesina era conosciuto come “la primula rossa” della Sardegna, simbolo di un’epoca in cui i rapimenti, le evasioni e la sfida aperta allo Stato erano pane quotidiano per una terra segnata da povertà, isolamento e ribellione. Nato a Orgosolo nel 1942, il suo nome è indissolubilmente legato all’Anonima sequestri, l’organizzazione criminale sarda responsabile di numerosi rapimenti tra gli anni ’60 e ’80.

Una vita tra carcere e fughe

Condannato all’ergastolo per reati gravi, tra cui sequestri di persona, Mesina si era fatto conoscere anche per le sue spettacolari evasioni. Il suo curriculum criminale era impressionante: più di dieci fughe dal carcere, arresti in diverse regioni d’Italia, una lunga latitanza tra i monti del Nuorese, e una popolarità che lo aveva reso quasi un eroe romantico per alcuni, mentre per altri era semplicemente un pericoloso criminale.

Nel 2004, dopo decenni di detenzione, gli fu concessa la grazia dall’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Sembrava l’inizio di un possibile reinserimento nella società. Tuttavia, la speranza fu di breve durata: nel 2013 fu nuovamente arrestato, questa volta con l’accusa di traffico internazionale di droga, accusa che fece revocare la grazia ottenuta.

Le ultime vicende giudiziarie

Nel 2019 fu scarcerato per decorrenza dei termini, ma non era destinato a rimanere libero a lungo. Nel 2021 venne nuovamente arrestato e trasferito nel carcere di Opera, nei pressi di Milano. La sua condizione fisica, già provata dagli anni e dalle malattie, iniziava a peggiorare rapidamente.

Negli ultimi mesi, le sue condizioni si erano deteriorate al punto da non permettergli più di camminare, alimentarsi autonomamente o riconoscere le persone a lui vicine. I suoi avvocati avevano descritto un quadro clinico gravemente compromesso, con una patologia oncologica in fase terminale. Il Tribunale di Sorveglianza di Milano, preso atto della situazione, aveva disposto la scarcerazione per consentire le cure in ambito ospedaliero.

Ma Mesina non è mai tornato a casa. Gli arresti domiciliari sono stati eseguiti direttamente nel reparto detenuti dell’ospedale San Paolo di Milano, dove è stato ricoverato fino alla morte. Per la prima volta, dopo una vita segnata da fughe rocambolesche e decisioni giudiziarie clamorose, Mesina ha lasciato il carcere non da uomo libero, ma da malato terminale, ormai incapace di qualsiasi resistenza.

Una figura divisiva

La figura di Graziano Mesina ha sempre diviso l’opinione pubblica. Da un lato, è stato visto come il simbolo di una Sardegna ribelle, capace di sfidare il potere centrale con astuzia e determinazione. Dall’altro lato, ha rappresentato la faccia oscura della criminalità organizzata, con un lungo elenco di reati a suo carico e vittime segnate a vita dalle sue azioni.

Nel corso degli anni, è stato anche oggetto di numerosi libri, documentari e perfino canzoni popolari. La sua immagine, spesso mitizzata, ha alimentato un immaginario collettivo in cui il confine tra giustizia e illegalità si è fatto sempre più sottile.

La fine di un’epoca

La morte di Mesina, avvenuta lo scorso 4 aprile all’età di 83 anni, chiude definitivamente un ciclo. Non si tratta soltanto della fine di un uomo, ma della conclusione di un’epoca. Con lui se ne va uno degli ultimi protagonisti di una stagione fatta di sequestri, vendette, fughe e processi mediatici.

Ora, resta il compito alla storia di giudicare lucidamente il suo percorso. Un uomo che ha sfidato lo Stato, ma che alla fine si è arreso alla fragilità del corpo umano. La sua storia resterà per sempre impressa nella memoria della Sardegna e dell’Italia intera: un intreccio complesso di coraggio, violenza, sofferenza e mito.

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