La giornata è iniziata sotto un cielo limpido a Roma, con quell’aria di primavera che ancora non ha deciso se abbracciare il tepore o restare ancorata al fresco. In Piazza San Pietro, però, il clima era già carico, ma non per il sole: per l’attesa. Un’attesa silenziosa e intensa, tutta rivolta a lui, a Papa Francesco.
Come accade sempre nelle grandi occasioni, la folla si è radunata con discrezione e pazienza. C’era chi era arrivato quando il sole ancora non si era alzato, sperando in un posto vicino, e chi, invece, aveva accettato di restare in fondo pur di esserci. Alla fine erano almeno in ventimila. Forse anche di più. Ma a contare non era il numero, bensì la presenza. Perché quando il motivo che ti spinge è vedere, non essere visti, allora si comprende il senso più autentico di una celebrazione collettiva.
Il motivo, naturalmente, era Papa Francesco. Un’apparizione che, seppur prevista, non era stata confermata fino all’ultimo istante. I dubbi, del resto, erano leciti: chi segue da tempo il Pontefice sa quanto le sue condizioni di salute siano diventate più fragili. Ma nonostante tutto, eccolo lì. Puntuale. Non annunciato, ma presente. La sua sedia a rotelle ha attraversato lentamente la piazza, mentre gli sguardi si facevano intensi e i cuori si stringevano in un’unica emozione.
Il volto del Papa era sereno, come a voler rassicurare tutti, anche se gli occhi lasciavano intravedere la fatica. Nessuna mascherina sul volto, e già questo ha fatto alzare qualche sopracciglio, come se fosse un piccolo indizio che qualcosa stesse cambiando. E poi la messa, solenne, composta, nella sua forma più pura. La voce di Francesco, seppur spezzata dalla debolezza, è riuscita a farsi sentire nitida e intensa: «Buona domenica delle Palme. E buona Settimana Santa!».
Un augurio semplice, ma potente. Carico di significato. E subito dopo, quel gesto che solo chi lo conosce sa aspettarsi. Papa Francesco si è avvicinato alla gente. Ha stretto mani, ha guardato negli occhi i fedeli, ha scambiato sorrisi. Qualcuno non ha retto l’emozione e ha pianto. Qualcun altro si è limitato ad abbassare lo sguardo, in silenziosa gratitudine. Ai bambini, invece, è toccato un dono speciale: qualche caramella, offerta con affetto paterno. Un gesto piccolo, forse banale per chi lo osserva da lontano, ma dal valore immenso per chi l’ha vissuto in prima persona.
Poco alla volta, la folla ha cominciato a defluire. Le voci si mescolavano, alcuni si salutavano, altri condividevano l’emozione vissuta. Ma un dettaglio ha cominciato a farsi largo tra i commenti. Un dettaglio che molti avevano colto già all’inizio, ma che ora risuonava come una conferma.
Nessun nasello per l’ossigeno.
Un particolare che, da solo, ha acceso un barlume di speranza. Perché quel piccolo tubo, diventato ormai presenza abituale nelle apparizioni del Papa, questa volta non c’era. E la sua assenza parlava chiaro. Nessun bisogno di spiegazioni ufficiali, nessun comunicato. Bastava uno sguardo per capire che forse, lentamente, qualcosa sta migliorando. Che forse il recupero è in corso. E che la forza di questo pontefice non sta solo nella sua fede, ma nella volontà di essere lì, tra la gente, nonostante tutto.
Papa Francesco, con la sua presenza discreta e potente, ha trasformato anche questa Domenica delle Palme in un momento di grande umanità. Un’occasione per sentire che la speranza è viva. Che anche nei giorni di fragilità, si può essere forti. E che a volte basta davvero poco — un saluto, una carezza, un respiro senza ossigeno — per dire al mondo che la vita continua. E continua con fede.