Carlo Nordio supera la mozione di sfiducia, ma il caso Almasri divide ancora il Parlamento

La Camera dei Deputati ha respinto la mozione di sfiducia nei confronti del ministro della Giustizia Carlo Nordio, presentata a seguito del controverso caso Almasri. Il voto si è concluso con 215 contrari e 119 favorevoli, ma ciò che ha colpito maggiormente è stata la decisione del gruppo parlamentare di Azione di astenersi, non partecipando al voto. Una scelta simbolica, che ha sottolineato la distanza – mai veramente colmata – tra una parte dell’opposizione e un ministro ormai messo sotto pressione da più fronti.

Al termine della seduta, Nordio si è mostrato sollevato, sottolineando l’importanza del verdetto parlamentare. “Il Parlamento è sovrano”, ha affermato con fermezza. “Qualsiasi decisione esso prenda rappresenta la volontà del popolo, e questo mi rende soddisfatto. Sono un democratico”. Parole che sembrano voler rafforzare la sua legittimità, quasi un mantra che il ministro ripete ogniqualvolta venga messo in discussione l’operato del governo.

Nonostante il sollievo espresso, Nordio non ha mostrato alcuna apertura verso il dialogo con l’opposizione. Anzi, ha scelto un tono deciso e senza compromessi, respingendo ogni accusa con fermezza. “Le osservazioni dell’opposizione sembrano i libelli dell’Inquisizione”, ha dichiarato, in risposta a chi lo accusa di aver gestito male il caso Almasri. E ha rincarato la dose aggiungendo: “Se uno dei suicidi in carcere fosse stato imputabile a me, saremmo già davanti a un processo”. Una posizione netta, che ha ulteriormente acceso il dibattito politico.

Le reazioni non si sono fatte attendere. Tra le più dure, quella del Movimento 5 Stelle. Il deputato Cafiero De Raho ha attaccato frontalmente il ministro: “Sul caso Almasri ha violato la legge e la Costituzione”. Lo ha accusato di non essere stato trasparente con il Parlamento, sostenendo che Nordio abbia deliberatamente sviato il dibattito parlando di tutt’altro rispetto alla verità dei fatti. “Non crede davvero che tutto ciò sia solo un attacco alla riforma della separazione delle carriere, o lo dice per provocare il Parlamento?”, ha chiesto con tono pungente.

Anche l’intervento del gruppo Azione ha attirato l’attenzione. Pur scegliendo l’astensione, il deputato Antonio D’Alessio ha espresso forti critiche verso la gestione del caso da parte di Nordio. Ha definito la mozione di sfiducia “un boomerang politico” che, anziché risolvere la situazione, ha rischiato di peggiorarla. “La mancanza di chiarezza ha indignato l’Aula – ha dichiarato – ma questa non era la strada giusta per risolvere la questione”.

Dal fronte dell’opposizione più tradizionale, non sono mancati attacchi altrettanto duri. Maria Elena Boschi di Italia Viva ha accusato Nordio di aver mentito davanti all’Aula, mentre la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, ha parlato esplicitamente di “una scelta politica” nella gestione del caso Almasri, arrivando a chiedere le dimissioni del ministro. “Chi le ha chiesto di fermarsi?”, ha domandato provocatoriamente, insinuando l’esistenza di pressioni esterne o decisioni prese fuori dal Parlamento.

La tensione in Aula era palpabile. Il caso Almasri ha smesso presto di essere un semplice dossier giudiziario, trasformandosi in un banco di prova politico. Ogni intervento, ogni dichiarazione, sembrava voler segnare un punto nella strategia di attacco o difesa nei confronti di Nordio e, più in generale, del governo Meloni. Un governo che, almeno per ora, ha mantenuto la compattezza, riuscendo a respingere l’attacco senza fratture interne.

Tuttavia, il voto non ha chiuso il capitolo. Anzi, ha evidenziato le profonde divisioni nel Parlamento e la fragilità di un equilibrio che potrebbe essere facilmente incrinato da nuovi sviluppi. La riforma della giustizia, cavallo di battaglia di Nordio, è ancora lontana dall’essere realizzata. E, nonostante la momentanea vittoria politica, il ministro dovrà affrontare altri ostacoli lungo il cammino.

In definitiva, la mozione di sfiducia è stata respinta, ma le polemiche non si placano. La gestione del caso Almasri resta una ferita aperta nel panorama politico italiano, capace di alimentare tensioni, scontri e nuove richieste di responsabilità. Il Parlamento ha parlato, ma la battaglia per la giustizia e la trasparenza è tutt’altro che finita.

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