Tragedia a Sesto San Giovanni: Davide Garufi, tiktoker di 21 anni, si toglie la vita – Si indaga tra odio social e identità di genere

La comunità di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, è stata recentemente sconvolta dalla tragica morte di Davide Garufi, giovane tiktoker di soli 21 anni, trovato privo di vita nella propria abitazione mercoledì 19 marzo. Il giovane si è tolto la vita utilizzando la pistola di ordinanza del padre, che lavora come guardia giurata. Un gesto estremo che ha lasciato senza parole amici, parenti e follower, suscitando una profonda riflessione sull’importanza della salute mentale e sull’impatto che i social network possono avere nella vita dei più giovani.

La Procura di Monza ha prontamente aperto un fascicolo d’indagine. Le ipotesi al vaglio degli inquirenti sono due: da un lato, l’omessa custodia dell’arma da fuoco da parte del padre, e dall’altro, l’istigazione al suicidio, un reato che prevede pene severe se si dimostra che terzi abbiano spinto, anche indirettamente, la vittima a compiere il gesto estremo. Le indagini si concentrano ora sull’analisi dei dispositivi elettronici di Davide, in particolare il cellulare, le chat private e le interazioni sui social, per comprendere se vi siano stati comportamenti che possano aver influito sul suo stato d’animo e sulla decisione finale.

Chi conosceva Davide racconta di un ragazzo sensibile, con una storia personale complessa ma condivisa con coraggio sui social. Dal 2020, attraverso il suo profilo TikTok, aveva deciso di raccontare in prima persona il proprio percorso di vita, rivelando aspetti profondamente intimi come la propria identità di genere. Inizialmente si era identificato con il nome di Alexandra, vivendo una fase come ragazza transgender. Successivamente aveva abbracciato un’identità di genere non binaria, riprendendo il nome di Davide. Il suo racconto era sincero, aperto, talvolta doloroso, ma rappresentava un punto di riferimento per molte persone che vivevano esperienze simili.

Purtroppo, insieme all’affetto di alcuni follower, non sono mancati gli insulti e le offese, soprattutto dopo la condivisione della sua transizione e della propria identità di genere fluida. Una vicina di casa ha raccontato che il ragazzo soffriva molto per i messaggi d’odio che riceveva sui social. Commenti maligni, frasi offensive, insinuazioni sulla sua identità erano all’ordine del giorno. Anche se, al momento, gli investigatori non hanno riscontrato episodi specifici di bullismo o persecuzioni gravi, resta comunque aperta l’ipotesi che alcune di queste interazioni possano aver contribuito al crescente malessere psicologico di Davide.

Il contesto in cui è maturato questo dramma è purtroppo noto: la pressione dei social network, spesso spietata e priva di empatia, può diventare insostenibile per chi è più fragile o già in difficoltà. Per chi espone la propria vita, le proprie insicurezze e la propria identità in uno spazio pubblico, il rischio di essere giudicati, attaccati o addirittura derisi è alto. E quando a essere coinvolta è una persona giovane, che sta ancora cercando se stessa, l’impatto può essere devastante.

La notizia del suicidio di Davide ha fatto rapidamente il giro dei media e dei social, suscitando profonda commozione e una valanga di messaggi di cordoglio. Molti utenti hanno espresso rabbia e dolore, chiedendo maggiore tutela per i giovani sui social e più attenzione ai segnali di disagio. Alcuni influencer e attivisti per i diritti LGBTQ+ hanno lanciato appelli affinché tragedie simili non si ripetano più, sottolineando quanto sia fondamentale costruire una società più inclusiva, in cui le persone possano sentirsi libere di essere se stesse senza timore di essere emarginate o giudicate.

Nel frattempo, è stata disposta l’autopsia sul corpo del giovane, che servirà a chiarire ulteriormente le dinamiche della sua morte. Parallelamente, gli investigatori continueranno a raccogliere elementi utili per comprendere se Davide sia stato vittima di pressioni esterne che abbiano avuto un ruolo nella sua tragica decisione. La famiglia, comprensibilmente distrutta dal dolore, chiede rispetto per la memoria del figlio e invita tutti a riflettere su quanto sia facile ferire qualcuno con una parola o un gesto online.

Il caso di Davide Garufi non può e non deve restare un episodio isolato da dimenticare. Deve piuttosto rappresentare un campanello d’allarme per tutti: genitori, educatori, istituzioni e piattaforme social. La salute mentale dei giovani merita di essere al centro del dibattito pubblico, così come la responsabilità che ciascuno ha nel proprio comportamento, online e offline.

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