Era l’inizio di settembre e a Santorini l’atmosfera era tranquilla. Il caldo torrido di agosto lasciava spazio a una brezza leggera che accarezzava il viso. L’aria era dolce e il chiasso dei bambini si mescolava al suono delle onde. Sul tavolo, i resti di un pranzo semplice e leggero; erano le tre del pomeriggio e stavamo per andare in spiaggia, quando la mia compagna si fermò improvvisamente. Girandomi verso di lei, vidi che osservava qualcosa sul televisore appeso al muro del ristorante. Aveva lo sguardo contratto, come se non riuscisse a comprendere pienamente ciò che stava guardando. Ci avvicinammo insieme allo schermo e, d’istinto, le presi la mano, come a volerla proteggere da ciò che stavamo per scoprire.
Attentato 11 settembre 2001: che cosa stava succedendo? Inizialmente pensai fosse uno scherzo, qualcosa di costruito, di irreale. In TV, l’immagine si ripeteva, una, dieci, cento volte: un aereo si schiantava contro una delle Torri Gemelle del World Trade Center di New York, esplodendo in una palla di fuoco. Sembrava impossibile, un errore di rotta così catastrofico da parte di un pilota? Immediatamente partirono mille ipotesi: forse l’aeroporto era troppo vicino alla città, o si trattava di un guasto meccanico, o di un errore umano.
Ma non ci volle molto tempo per capire che non si trattava di un incidente. Dopo circa venti minuti, un secondo aereo colpì l’altra torre. Era evidente: New York era sotto attacco. Tutte le teorie di errore crollarono in un istante. Ci trovammo a vivere un’atmosfera di incredulità, simile a quella che molti avevano provato ascoltando “La Guerra dei Mondi” alla radio: non riuscivamo a distinguere tra realtà e fantasia. Le nostre menti erano confuse e sopraffatte dalle domande: chi poteva aver fatto questo? Come? E, soprattutto, perché?
L’uso di aerei di linea per un attentato di tale portata era impensabile. Per un attimo, ci guardammo intorno, consapevoli di essere tutti turisti. Anche noi saremmo tornati a casa con un aereo di linea. Il panico cominciò a serpeggiare tra noi: quel tipo di attacco non colpiva solo chi era sul posto, ma minacciava chiunque, ovunque, in qualsiasi momento. L’isola, che fino a poco prima era un’oasi di serenità, sembrava ora svuotata di ogni pace. Il chiasso dei bambini era svanito, e nella mente si affollavano mille domande.
Tornammo a casa, ma con una tensione palpabile. Nei giorni seguenti, le conseguenze degli attentati sollevarono ancora più interrogativi. Le immagini delle Torri Gemelle che crollavano, i racconti dei sopravvissuti, le fotografie delle persone che si lanciavano nel vuoto per sfuggire alle fiamme, il numero delle vittime che cresceva minuto dopo minuto. La storia dei quattro aerei dirottati, le telefonate disperate dei passeggeri. Quell’11 settembre maledetto tracciò una linea indelebile: un orrore senza precedenti, impossibile da immaginare. Eppure, nonostante tutto, continuiamo a convivere con le guerre che devastano il mondo. Ma ciò che rese quel giorno così spaventoso fu la subdola modalità dell’attacco, che instillò in noi l’idea che non siamo mai completamente al sicuro.
Ciò fece vacillare ogni nostra certezza e ci costrinse a porci una domanda apparentemente senza risposta: “Perché?”. Perché l’essere umano è capace di compiere atti tanto atroci, privi di un vero senso? Come è possibile che la nostra specie raggiunga livelli di distruzione e violenza così estremi? Perché, maledizione, perché?
Come accade per tutte le tragedie, anche l’11 settembre, a distanza di anni, sembra un ricordo lontano, che il tempo ha cominciato a sbiadire. Ma dobbiamo essere forti e tenerlo vivo nella nostra memoria, ogni anno, ad ogni anniversario. Dobbiamo raccontarlo e ripeterlo, affinché rimanga per sempre un atto condannato dall’umanità.