Greta Thunberg era partita con quell’aria di chi ormai ha visto tutto, di chi non deve più dimostrare nulla a nessuno. La ricordiamo davanti all’ONU, con il suo “How dare you?”, ospite dal Papa, in dialogo con Barack Obama, protagonista a New York nei summit internazionali. Un simbolo globale, capace di catalizzare l’attenzione dei media e di mobilitare milioni di giovani in piazza. E invece oggi la troviamo in un contesto molto diverso: non più i palcoscenici mondiali, ma un veliero che solca il Mediterraneo, parte della Flotilla. Qui la scena non è quella delle istituzioni, ma quella di un equipaggio eterogeneo, tra attivisti che litigano per le dirette Facebook e marinai improvvisati. Una situazione che, per certi aspetti, ricorda più un reality show che una missione umanitaria: una sorta di “Isola dei Famosi” con bandiere e slogan politici.
Il viaggio, dicono, le era stato offerto dalla famiglia Grimaldi-Casiraghi. Pierre, il principe, le aveva messo a disposizione la barca e aveva persino assunto il ruolo di skipper. Ma chi ha trascorso più di due giorni in mare lo sa bene: la vera sfida non è il vento o la rotta, ma i compagni di viaggio. Se sbagli la compagnia, addio avventura, addio entusiasmo. Ed è proprio quello che sembra essere accaduto a Greta Thunberg.
Con un annuncio asciutto, poche righe in stile comunicato stampa, ha dichiarato: «Il mio ruolo non sarà nel comitato direttivo. Parteciperò come organizzatrice e attivista». Tradotto: cambio di barca, dalla “Family” all’“Alma”. Ma è stata una decisione libera? O qualcuno, a bordo, le ha fatto capire che era meglio lasciare il posto? Su questo punto regna il mistero.
Un giornalista con accesso diretto avrebbe potuto chiarire subito, ma la cronaca è stata limitata. L’unica inviata, Francesca Del Vecchio de La Stampa, era stata invitata a bordo e poi sbarcata alla prima occasione. Lei stessa ha raccontato di un “clima teso, poco sereno”, dopo essere stata trattata quasi come una clandestina, privata del telefono e del passaporto. Un contesto surreale, che ha fatto pensare più a un penitenziario galleggiante che a una missione solidale.
Gli altri cronisti vicini agli organizzatori hanno parlato di “dissidi interni”. Pare che Greta volesse mantenere il focus su Gaza, sulla causa palestinese. Gli altri, invece, erano più concentrati sulle dinamiche di bordo, sui selfie e sulle dirette social. Così, l’obiettivo umanitario è finito in secondo piano.
Persino Libero, giornale che in passato l’aveva spesso attaccata con titoli al vetriolo come “La rompiballe va dal Papa”, questa volta le ha riconosciuto qualche ragione. Anche l’Unione Europea ha espresso dubbi, parlando di missione “pericolosa e potenzialmente controproducente”, non tanto per la reazione israeliana, quanto per la confusione sugli obiettivi reali.
A Roma, infatti, molti sospettano che diversi partecipanti alla Flotilla avessero in mente un altro fine: ottenere visibilità, creare imbarazzo politico al governo italiano, trasformare il viaggio in un’occasione di propaganda personale. Greta Thunberg, con il suo consueto rigore, avrebbe colto subito questa deriva e avrebbe cercato di richiamare tutti alla missione originaria, come se fossero dirigenti di multinazionali da incalzare per le loro responsabilità ambientali.
Ma di fronte alla mancanza di coesione, in pochi giorni ha deciso di prendere le distanze. Ha parlato chiaro: «La priorità qui non sono i palestinesi». Una frase che ha il sapore di un’accusa, diretta e scomoda, che ha lasciato interdetti molti dei suoi compagni di viaggio.
Intanto, sullo sfondo, non sono mancati episodi paradossali. Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU per la Palestina, era salita sulla “Family Boat” per abbracciare Greta dopo un presunto attacco con drone — mai confermato — che avrebbe colpito l’imbarcazione. Anche questo episodio ha contribuito a rendere il clima ancora più confuso e spettacolarizzato, con la linea sottile tra realtà e propaganda sempre più sfumata.
Quello che resta, alla fine, è il ritratto di una missione controversa. Da un lato la voglia di sensibilizzare sul dramma umanitario di Gaza, dall’altro divisioni, litigi e sospetti che hanno trasformato un’azione di solidarietà in una vicenda dai contorni poco chiari. Greta Thunberg, ancora una volta, ha dimostrato di non piegarsi a compromessi: quando capisce che la rotta non è quella giusta, preferisce cambiare nave, piuttosto che restare a bordo e farsi trascinare da interessi che nulla hanno a che vedere con la sua lotta.
Il suo gesto conferma un tratto che l’ha resa celebre: la coerenza. Nel bene o nel male, Greta resta fedele al messaggio che l’ha portata a diventare un’icona globale. Anche se ciò significa trovarsi sola, anche se significa rinunciare a visibilità e alleanze di comodo.
Alla fine, il Mediterraneo non è solo un mare da attraversare, ma una metafora della politica e dell’attivismo: acque agitate, rotte che si incrociano, equipaggi che si dividono. Greta Thunberg ha scelto ancora una volta di navigare controvento, ricordando a tutti che non basta issare una bandiera per fare una battaglia di giustizia: serve coerenza, chiarezza e, soprattutto, onestà verso la causa che si intende difendere.