Il 31 agosto scorso, durante un volo che si avvicinava a Plovdiv, in Bulgaria, l’aereo che trasportava Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha vissuto un momento ad alta tensione. Nel pieno della fase di atterraggio, i piloti si sono accorti che il sistema di navigazione satellitare Gps aveva smesso di funzionare. Tutto si è improvvisamente oscurato: schermi muti, coordinate sparite, strumenti moderni inutilizzabili. Un imprevisto tecnico che, però, assume subito un significato politico e geopolitico molto più ampio.
Il jet, un Dassault Falcon 900LX, si è trovato per quasi un’ora a sorvolare l’aeroporto bulgaro, con i piloti costretti a improvvisare. Alla fine hanno scelto di affidarsi alle mappe in pdf caricate sui tablet, ricorrendo a un atterraggio manuale a vista, come si faceva in passato. Una scena che sembra appartenere agli anni ’80, e invece si è svolta davvero, davanti agli occhi del mondo, coinvolgendo una delle figure politiche più importanti d’Europa.
Subito si è parlato di un possibile attacco russo: un’operazione di disturbo che avrebbe mandato in tilt i sistemi satellitari, lasciando l’equipaggio privo degli strumenti di precisione fondamentali per una discesa sicura. Eurocontrol ha confermato che quella domenica sono stati registrati disturbi intenzionali ai segnali Gps, e anche le piattaforme di monitoraggio indipendenti hanno segnalato interferenze. “Possiamo confermare un’interferenza del segnale, ma l’aereo è atterrato sano e salvo”, ha dichiarato Arianna Podestà, portavoce della Commissione. Una frase rassicurante, certo, ma che non cancella l’inquietudine di fronte a uno scenario così pericoloso.
Non si è trattato di un episodio isolato. Negli ultimi mesi, infatti, i cieli sopra l’Europa, il Medio Oriente e parte dell’Asia sono diventati un campo di battaglia invisibile. Spoofing, jamming, falsi segnali che confondono i computer di bordo: strumenti di guerra elettronica sempre più diffusi, che creano caos e costringono i piloti a deviazioni improvvise, a soste forzate in volo o ad atterraggi non programmati. Secondo uno studio della Stanford University, nel solo mese di agosto tra i 90 e i 150 aerei al giorno hanno segnalato interferenze Gps. Non più casi isolati, ma un fenomeno quotidiano, che mette in discussione la sicurezza del traffico aereo internazionale.
La Bulgaria è una delle aree più colpite da questo tipo di attacchi. OpsGroup, nel suo rapporto del 2024, ha inserito il suo spazio aereo tra i più vulnerabili d’Europa. Non è un dettaglio irrilevante: parliamo di un Paese che rappresenta un ponte tra l’Unione europea e le aree calde dei Balcani e del Mar Nero. Già nel gennaio 2025, un volo Ryanair diretto a Vilnius è stato costretto a deviare verso la Polonia per motivi simili, mentre Finnair ha sospeso per un intero mese i collegamenti con Tartu, in Estonia, a causa delle continue interferenze.
La vicenda di von der Leyen mette in luce la fragilità delle infrastrutture tecnologiche da cui dipendono i nostri viaggi e, più in generale, la nostra quotidianità. Il Gps non è solo uno strumento di orientamento per gli aerei: regola traffico navale, logistica commerciale, sistemi militari e persino le transazioni bancarie. La possibilità che qualcuno possa “spegnere” tutto con un clic rappresenta una minaccia concreta, che solleva domande difficili sulla nostra capacità di difenderci da nuove forme di guerra non convenzionale.
Il governo bulgaro ha cercato di minimizzare, sottolineando come esistano sistemi di navigazione alternativi a terra. Ma la sostanza non cambia: la presidente della Commissione europea ha dovuto volare per venti minuti senza strumenti moderni, affidandosi al sangue freddo dei piloti e a procedure manuali che sembravano ormai superate. Questo episodio mostra quanto la dipendenza dalla tecnologia ci esponga a rischi imprevisti e come la geopolitica possa ormai manifestarsi anche attraverso segnali invisibili, captati dai radar e tradotti in conseguenze molto concrete.
Per l’opinione pubblica, l’immagine resta forte: Ursula von der Leyen, simbolo dell’Europa istituzionale, costretta a un atterraggio manuale, come in un film di altri tempi. Ma per i governi e le autorità aeronautiche, la vicenda è soprattutto un campanello d’allarme. Quanto siamo preparati a gestire un futuro in cui i sistemi di cui ci fidiamo ciecamente – come il Gps – possono essere compromessi con estrema facilità? Quali contromisure verranno adottate per proteggere il trasporto aereo e, più in generale, la sicurezza dei cittadini europei?
Il 31 agosto non resterà dunque soltanto la data di un imprevisto tecnico in un aeroporto bulgaro. Sarà ricordato come il giorno in cui l’Europa si è accorta, nel modo più diretto possibile, che la guerra tecnologica non è un concetto astratto: è già qui, nei nostri cieli, e mette in gioco il futuro stesso della mobilità e della sicurezza internazionale.